Ristoranti, pizzerie, pub, bar, fast food, self service,
mensa… Tutti posti che frequentiamo più volte alla settimana, forse alcuni più
volte al giorno. E però sarebbe il caso di dire “subiamo”. Sì, perché sono
spesso nella classifica dei luoghi più sgradevoli o, facendo mente locale, associati
a cattive esperienze.
Ci sarà modo di parlare a fondo di questo, ma cominciamo con
un ristorante-pizzeria medio, uno in cui sono stato non molto tempo fa. Niente
cose da super vip dove l’acqua viene dalla Norvegia e costa 7 euro a bottiglia (sempre
che non ti portino anche la “carta delle acque” assieme a quella dei vini) ma
nemmeno uno di quelli dove è prudente fare 8-10 giorni di profilassi prima di
prendere in mano una forchetta.
Un posto medio, tranquillo, normale viavai di gente. Entro,
entriamo. Restiamo piantati un po’ in attesa che qualcuno ci dica cosa fare.
Non viene nessuno, allora ci dirigiamo verso uno dei venti tavoli che alle nove
passate erano ancora liberi. A quel punto vedi immediatamente avventarsi due
tizi vestiti da camerieri, che erano anche camerieri, e che finalmente ci
rivolgono la parola pronunciando la formula tipica e standard:
- avete prenotato?
- No
- Mi spiace ma siamo pieni…
Cazzo! Pieni! Ma se sono le nove passate e hai i tre quarti
del locale vuoto, un tavolo da quattro lo troverai pure no? Ridico queste
stesse cose in modo più urbano a un terzo uomo vestito da cameriere, solo che
aveva in mano anche un minitablet o maxitelefono (scegliete voi, ormai tutto si
confonde con tutto) probabilmente per prendere
le comande. Sì, perché oggi non si prendono più con carta e penna, ci
vuole il tablet. Sbagliano lo stesso, e appena proponi qualcosa fuori dall’elenco
(tipo la capricciosa senza – bleah – l’uovo sodo) inorridiscono perché non
sanno come fare. Soprattutto trovano un grazioso modo per fregarti alla fine,
perché hanno sempre ragione loro (prima era il cliente ad avercela, ma nell’era
post-femminista si è rivoluzionato tutto, anche questo) incolpando sempre “la
tecnologia” nuovo dio misterioso e ostile.
Ad ogni modo, il tipo ingombrante e untuosamente sudaticcio con
tablet erogatore di errate comande e vestito da cameriere non era il cameriere,
ma il maître di
sala. E sì, perché ora hanno pure i gradi. E ci tengono! (E, per carità, ove ricorrano
le circostanze, ci può pure stare. Ove ricorrano, però!)
- Tutto prenotato – voce stizzosa e quasi compiaciuta: tiè
stasera non mangiate! – tutto pieno
Gli faccio notare che sono le 21.10, che il locale è vuoto…
Si gira stanco e lento come un rinoceronte, dà un’occhiata alla sala e dice con
concessione:
- Se entro un quarto d’ora non arrivano vi do quel tavolo –
dice indicandone uno praticamente dentro il forno della pizzeria. Va bene, ci
adatteremo.
Aspettiamo. Alle 21.30 cerco i suoi occhi. Siamo dentro, in
piedi. I camerieri (quelli non graduati) lo fanno quasi apposta a passare
davanti a noi giusto per chiederci permesso e farci spostare: cazzo, solo tu non
riesci a vedermi! Decido di muovermi. Posto che avevo deciso già da tempo che la
parola “maître” non sarebbe
mai uscita fuori dalla mia bocca per chiamarlo, parte un “senta!” con la mia
sonora voce tenorile. Ebbene, si girano tutti, inclusi i camerieri propriamente
detti, tranne lui. Gli era vicino una graziosa ragazza imbruttita da diversi
millimetri di trucco avventato. Mi sorride, la prego a gesti di chiamarlo per
me. Lei gli sfiora un braccio, mi indica. E finalmente mi vede. Sorrido, indico
il tavolo con la nostra prenotazione di secondo livello e dico con il labiale “possiamo?”.
Guarda l’orologio e quasi ci dice di sederci. Tiè, stasera mangeremo, e da te
per giunta. Mentre scosto la sedia, dal forno una vampata di calore mi avvolge
fin dentro l’anima. Che nemmeno la menopausa più cruenta… E forse nemmeno l’inferno.
<segue>