lunedì 31 agosto 2015

Servito. E riverito? Parte 1

Ristoranti, pizzerie, pub, bar, fast food, self service, mensa… Tutti posti che frequentiamo più volte alla settimana, forse alcuni più volte al giorno. E però sarebbe il caso di dire “subiamo”. Sì, perché sono spesso nella classifica dei luoghi più sgradevoli o, facendo mente locale, associati a cattive esperienze.



Ci sarà modo di parlare a fondo di questo, ma cominciamo con un ristorante-pizzeria medio, uno in cui sono stato non molto tempo fa. Niente cose da super vip dove l’acqua viene dalla Norvegia e costa 7 euro a bottiglia (sempre che non ti portino anche la “carta delle acque” assieme a quella dei vini) ma nemmeno uno di quelli dove è prudente fare 8-10 giorni di profilassi prima di prendere in mano una forchetta.



Un posto medio, tranquillo, normale viavai di gente. Entro, entriamo. Restiamo piantati un po’ in attesa che qualcuno ci dica cosa fare. Non viene nessuno, allora ci dirigiamo verso uno dei venti tavoli che alle nove passate erano ancora liberi. A quel punto vedi immediatamente avventarsi due tizi vestiti da camerieri, che erano anche camerieri, e che finalmente ci rivolgono la parola pronunciando la formula tipica e standard:

- avete prenotato?
- No
- Mi spiace ma siamo pieni…

Cazzo! Pieni! Ma se sono le nove passate e hai i tre quarti del locale vuoto, un tavolo da quattro lo troverai pure no? Ridico queste stesse cose in modo più urbano a un terzo uomo vestito da cameriere, solo che aveva in mano anche un minitablet o maxitelefono (scegliete voi, ormai tutto si confonde con tutto) probabilmente per prendere  le comande. Sì, perché oggi non si prendono più con carta e penna, ci vuole il tablet. Sbagliano lo stesso, e appena proponi qualcosa fuori dall’elenco (tipo la capricciosa senza – bleah – l’uovo sodo) inorridiscono perché non sanno come fare. Soprattutto trovano un grazioso modo per fregarti alla fine, perché hanno sempre ragione loro (prima era il cliente ad avercela, ma nell’era post-femminista si è rivoluzionato tutto, anche questo) incolpando sempre “la tecnologia” nuovo dio misterioso e ostile.



Ad ogni modo, il tipo ingombrante e untuosamente sudaticcio con tablet erogatore di errate comande e vestito da cameriere non era il cameriere, ma il maître di sala. E sì, perché ora hanno pure i gradi. E ci tengono! (E, per carità, ove ricorrano le circostanze, ci può pure stare. Ove ricorrano, però!)

- Tutto prenotato – voce stizzosa e quasi compiaciuta: tiè stasera non mangiate! – tutto pieno

Gli faccio notare che sono le 21.10, che il locale è vuoto… Si gira stanco e lento come un rinoceronte, dà un’occhiata alla sala e dice con concessione:

- Se entro un quarto d’ora non arrivano vi do quel tavolo – dice indicandone uno praticamente dentro il forno della pizzeria. Va bene, ci adatteremo.

Aspettiamo. Alle 21.30 cerco i suoi occhi. Siamo dentro, in piedi. I camerieri (quelli non graduati) lo fanno quasi apposta a passare davanti a noi giusto per chiederci permesso e farci spostare: cazzo, solo tu non riesci a vedermi! Decido di muovermi. Posto che avevo deciso già da tempo che la parola “maître” non sarebbe mai uscita fuori dalla mia bocca per chiamarlo, parte un “senta!” con la mia sonora voce tenorile. Ebbene, si girano tutti, inclusi i camerieri propriamente detti, tranne lui. Gli era vicino una graziosa ragazza imbruttita da diversi millimetri di trucco avventato. Mi sorride, la prego a gesti di chiamarlo per me. Lei gli sfiora un braccio, mi indica. E finalmente mi vede. Sorrido, indico il tavolo con la nostra prenotazione di secondo livello e dico con il labiale “possiamo?”. Guarda l’orologio e quasi ci dice di sederci. Tiè, stasera mangeremo, e da te per giunta. Mentre scosto la sedia, dal forno una vampata di calore mi avvolge fin dentro l’anima. Che nemmeno la menopausa più cruenta… E forse nemmeno l’inferno.




<segue>

venerdì 28 agosto 2015

L’ultima scatola di biscotti

Ci sono dei ambiti che mi daranno la possibilità di scrivere tanti e tanti post. Uno di questi è la vita da supermercato. Per abitudine, frequento un centro commerciale, sempre quello, un po’ per pigrizia, un po’ perché mi piace vedere la confusione, un po’ perché fa un tanto “mall” degli Stati Uniti (beh, non proprio come quello in foto, per la verità...), dei quali ho tanta nostalgia.




L’ultima volta che ho fatto la spesa, il supermercato era mezzo deserto: lunedì, ora di pranzo, fine di Agosto. Corridoi liberi, casse sgombre, niente bambini. Soprattutto niente bambini: un paradiso. Cuffiette, canzone preferita, carrello con ruota regolarmente isterica, borse riutilizzabili (non dimenticatele mai!): assetto standard, pronto per la spesa.

Sul momento non ci ho fatto caso, ma a poco a poco ho cominciato a vedere scaffali vuoti, e corridoi sì senza malefici bambini, ma anche senza addetti al riassortimento. Non era solo mezzo, ma proprio completamente deserto quel supermercato! A questo punto vado in cerca di indizi, per capire cosa fosse successo, e vedo per terra uno di quei giornalini colorati, di quelli che tra carta e inchiostri corrispondono a svariate tonnellate di CO2 immesse in atmosfera, di quelli che con fastidio e sdegno gettiamo nella spazzatura se ce li ritroviamo nella cassetta della posta. Offerte, dal 22 al 30 Agosto, leggo. 



Faccio mente locale e mi accorgo che era il 24 Agosto. Due giorni dopo l’apertura delle gabbie, due giorni dopo l’assalto delle cavallette, due giorni dopo l’inizio della guerra. In più, c’erano ulteriori sconti con appositi bollini (segreti), fino al giorno prima. Ora tutto quadrava: silenzio, casse vuote, cartoni e plastica abbandonati qua e là. Il campo dopo la battaglia.

Comincio a pensare di cambiare supermercato quando il mio orgoglio prende il sopravvento e mi dico: anche io combatto, anche io vado all’assalto, non importa cosa è rimasto, conquisterò il mio cibo! E così riesco a guadagnare il latte, le uova (erano rimaste le ultime 12 di quelle da galline allevate all’aperto, compro solo quelle), il parmigiano (l’ultima confezione tra quelle in offerta). Mancavano i biscotti. Erano dall’altro lato, dovevo tornare tutto indietro (ricalcolo percorso…).
Arrivo nel corridoio dei dolciumi e li vedo. I miei. L’unica cosa che tollero nei primi trenta minuti dopo il risveglio. E quando dico unica, sto parlando anche la mia faccia allo specchio.





Li vedo da lontano, ma mi accorgo pure che nuotano nel vuoto dello scaffale: era l’ultima scatola. Mi avvio sconsolato verso di loro quando la avvisto. Trenta centimetri scarsi più alta del carrello, vestitino bianco, culo basso, tette (chiamiamole così per essere buoni) ottava coppa effe poggiate sui fianchi, braccia in modalità bargigli, occhiali spessi tre dita, baffetti non decolorati, scarpe aperte di quelle che lasciano intravedere solo alluce e secondo dito con unghia color rosso Marilyn. Ma soprattutto, sguardo fintamente trasognato. È stato un attimo, solo un attimo, ma ho visto una linea unire i suoi occhi da pesce con la scatola dei biscotti. L’ultima. La mia.

Ci guardiamo, poi guardiamo i rispettivi carrelli. Io ho più roba da spingere nel mio ma lei è più piccola e lenta. Mi muovo con apparente indifferenza mentre accelero. Guadagno terreno, quattro metri… tre… Ormai lo scontro è aperto, nessuna mossa nascosta, nessuna corretta vittoria, alla faccia degli amanti dell’Aikido.



Due metri, uno… sono in vantaggio, la balenona bianca non riesce a spingere il carrello, anche la sua ruota è isterica e si inceppa. Gli ultimi cinquanta centimetri li guadagno con le braccia: sono miei! Faccio finta di guardare ingredienti e informazioni nutrizionali che conosco ormai a memoria (a proposito, fatelo sempre) e lascio cadere il pacco nel mio carrello. La signora arriva, alla fine. Cerca altri biscotti. Ma non ce ne sono. Mentre faccio marcia indietro mi dice, con fortissimo accento:

- Erano “l’ùrtimi”?
- Sì, mangia anche lei questi? – rispondo col sorriso del vincitore
- No, è per mio marito, non ne mangia “acci”, poverino sta male, vomita tutto ma questi no

Ebbene, anche io ho un cuore. Sì, persino io. Avevo lottato tutto il pomeriggio, avevo scavato in mezzo a carcasse di scatoloni e confezioni per cercare gli ultimi rimasugli di cibo, ma non potevo rimanere insensibile. Riallungo il braccio verso il carrello, prendo il pacco e faccio per porgerlo alla signora:

- Lo prenda lei, non si “preoccupa”, ne mangerò “acci”
- Annì – dice una voce alle mie spalle – Annì, ‘cca sì? Tri uri ca ti cerco. Chisti vogghiu…

Era un signore allampanato, capelli bianchi, gambe storte, naso grosso e paonazzo, pantaloni celeste chiaro due misure più grandi, canottiera in trasparenza sotto la camicia bianca spessore ostia. E soprattutto, aveva in mano un altro pacco di biscotti.

- Ma quelli “dice” che non ti piacciono… -
- Ma a me questi piacciono, non quelli – dice indicando i miei – “chiddi t’accatti pi ‘ttia”

E mi guarda ridendo. Ritraggo la mano risentito, come una molla. Riposo i biscotti nel mio carrello. Lancio alla signora un sorriso alla carta vetrata.

- Ma che fa, dice le bugie?
- Ma è lui… Cambia idea… - dice abbassando quegli occhi da sarago (avevo finalmente capito a quale pesce associarli)

Li saluto. Lui ride. La sfotte. Lo sguardo di lei oscilla tra quello di amore verso i (miei) biscotti a quello di odio verso di me.

Mentre mi dirigo alla cassa riguardo meglio il pacco. È giallo e rosso, stessa scritta, stessa forma, stessa dimensione. Ma non è lui! Torno nel corridoio e vedo che i miei biscotti erano tutti lì, dieci, forse venti scatole. Restituisco l’intruso, prendo il legittimo, stando attento, come i Re Magi, a non ripercorrere la stessa strada per non rincontrare la signora inferocita. E che dovevo fare?

martedì 25 agosto 2015

È un mondo per (ambi)destri

Sono di ritorno da un villaggio vacanze. Per ora tralascio i dettagli su (ri)animatori, popolazione residente, barbari e ‘bruttezze’ naturali per concentrarmi su un aspetto al quale oltre il 90% delle persone non pensa: il mondo non è fatto per i mancini.

Pare che, a partire dal secolo scorso, il numero dei mancini sia triplicato o forse anche più. La sinistra è la mano del demonio, qualche secolo fa magari porgendo la sinistra dall’altra parte trovavi qualcuno che ti tirava sopra un rogo senza troppi complimenti. Oggi le cose sono un po’ diverse, i mancini si lodano e benedicono: sono più creativi, più intelligenti, più belli, fantastici e magari anche superdotati ( vi piacerebbe…!).


E però, se cercate di fare la vita di un mancino, vi accorgerete che questo improvviso amore e preservazione per una specie protetta è finto e non di sostanza, come del resto gran parte degli attivismi.

Avete mai  provato a tagliare un foglio di carta con le forbici e la mano sinistra? O sbucciare una mela? Aprire una scatola di latta? Sì, non c’è solo il problema che non sapete farlo perché siete destrimani, è l’utensile che non va. Ci vogliono quelli adatti ai mancini.


E poi ci sono gli ambidestri. Tra il 4% e il 5% secondo alcune stime. Perlopiù sono mancini corretti. E certo! Una cosa demoniaca come il mancinismo va corretta: mio figlio mancino? Mai! Ecco quindi la sinistra legata dietro la schiena, qualche ceffoncino se prendi la forchetta con l’altra mano o se porgi il braccio “sbagliato” per un saluto, qualche più o meno amorevole rimprovero se afferri d’istinto la pallina con la sinistra.

E negli anni… la confusione più totale. Destra, sinistra… nel cervello si sviluppa la nebbia. Chi sa di queste cose dice che si ostacola la lateralizzazione degli emisferi, cioè la dominanza di uno dei due. Negli ambidestri coesistono. Più o meno in pace. Io, mancino corretto, oggi ambidestro, pago questo in termini di confusione persistente su cosa significhi girare a destra o a sinistra. O orario e antiorario. Una tragedia, specie quando comincio a litigare con il navigatore o con il coperchio del barattolo della maionese. Il mio senso di sopravvivenza mi ha consentito nel tempo di sviluppare un “di qua” e un “di là” al posto di destra e sinistra. Funziona, ma non col navigatore. Che poi, essendo una navigatrice, si incazza pure. Perché sembra avere una voce neutra e soave, ma sotto sotto, se sbagli strada diventa una bestia quando col suo tono scostante ti dice “ricalcolo percorso”. Sottintendendo: “ricalcolo percorso, coglione”



Ma torniamo al villaggio vacanze. Essendo ambidestro,  faccio un po’ di tutto con entrambe le mani, incluso scrivere, stirare, mescolare, lavarmi i denti, allacciarmi le scarpe. Per certe cose posso scegliere quale mano usare sul momento, ma per altre…no. Porto l’orologio a destra, come  quasi tutti i mancini, per cui ho messo il braccialetto identificativo del villaggio a sinistra.

E però, i tornelli di ingresso e di uscita dalla piscina erano tutti “dall’altro lato”. Il primo giorno ho preso una distorsione al polso, poi ho messo il braccialetto verso l’interno, poi ho voltato tutto il mio corpo verso il sensore… Alla fine la soluzione era solo una. Cedere al mondo e spostare il braccialetto sul polso destro. E in quell'attimo ho avuto un momento di commozione per tutti i mancini che spesso, avranno sofferto per non aver potuto usare la loro mano dominante. Tornando a casa ho cucinato e fatto i piatti usando la sinistra, giusto per solidarietà.

Bene, se siete arrivati fin qui, provate a ripensare a quanto letto e sostituite “mancino” con qualche altra caratteristica o – che ne so? - “variante naturale del comportamento umano” (il testo tra virgole è una citazione, lascio a voi trovare da dove l’ho presa) e rifletteteci su.

PS

Il braccialetto è rimasto a sinistra, fino alla fine. Dovreste conoscermi.

lunedì 24 agosto 2015

PROLOGO - Iniziamo una nuova avventura

Ed eccomi qui. Avevo promesso, minacciato, intimato di aprire un blog e ora ci siamo, mi dovete sopportare. Di che parlerò? Beh, blog è la contrazione di (we)blog e cioè diario online. Il mio sarà quindi un racconto di quello che vedo, sento, mangio, annuso, tocco (e basta...) dal mio personale punto di vista.
Un po' acidino secondo alcuni. Brillante e sagace secondo me. E il bello è che qui vinco io. Sempre.

Da dove prenderò spunti? Da strade, commessi, ristoranti, previsioni del tempo, dai vostri meravigliosi link di facebook... insomma: da voi tutti. Che nessuno se ne abbia a male però: qui si scherza, si ride, si gioca: sarò feroce. Magari dicendo qualche verità. Peraltro, esistono due regole fondamentali:

1. Non è obbligatorio leggere
2. Potete sempre aprire un vostro blog 

I commenti sono i benvenuti, sempre. Basta che siano educati e rispettosi. Ah, e scritti in buon italiano, vi prego (cominciamo subito a bacchettare) vedo pubblicate oscenità grammaticali da brivido.

Presto sarà online la mia prossima creazione intitolata: "È un mondo per (ambi)destri".

Sì, inizio con una cosina neutra, giusto per riscaldarmi un po'. Ma sappiate che ho già adocchiato qualcosa di più fastidioso (per voi) da commentare.

Dormite beati, intanto.

Notte notte.
Rob