domenica 11 ottobre 2015

...curando di non essere osservati (Lui)

Dopo la nostra amica impacciata che ci ha fatto perdere minuti preziosi della nostra vita, tocca al suo compare. Magari è pure suo marito. Sì, perché anche i maschietti sanno come rendersi amabilmente dei gran rompipalle quando devono fare un’operazione ad un Bancomat. Anche e forse soprattutto le operazioni che fanno ogni volta.
Il nostro lui è di solito un over 60, pantaloni chiari, beige, camicia di una misura più grande a quadretti, baffi, sguardo da donnola, dopobarba antizanzara, piedino nervoso, quotidiano locale piegato in 4 messo sotto il braccio, sguardo perso nel vuoto, appoggiato a una fioriera o palo più vicini con indifferenza e noncuranza.



Non sta in fila, non in modo evidente. Lui “sa”, sa dopo di chi è e prima di chi è. Lui “sa”. Osserva da lontano. Lui sa, lui controlla. Si fa notare per far vedere che esiste, ma apparentemente non sta in coda. E perché…? Perché non sia mai che qualcuno capisca che sta ritirando dei soldi. Nessuno degli altri in coda ha infatti capito che lui è lì per quello. Ma lui è più furbo, di noi, di tutti. Perché il mondo è pieno di gente cattiva che si è alzata la mattina solo perché vuole i suoi soldi. E che probabilmente lo ha anche seguito. E che probabilmente lo sta pure osservando in quel momento. Perciò lui sta lontano dallo sportello, sotto la telecamera di sorveglianza, chissà a qualcuno venisse in mente di aggredirlo.



Arrivato il suo turno, improvvisamente si materializza e, dopo essersi messo gli occhiali da sole (sì, avete capito bene, se li mette dopo) con un gesto della mano blocca tutti con i suoi superpoteri: c’ero io, adesso vengo io. Sì, ok, ti avevamo visto, se magari stavi in coda insieme a noi plebaglia mortale forse ci faresti più simpatia.



A questo punto comincia il balletto. NON ha un portafogli, ma prende la carta da una zona segreta dei suoi pantaloni che si trova nella parte anteriore. Tutti noi in fila speriamo che sia una tasca. Se vi chiedete perché, pensate che ciascuno di noi sa che poi dovrà toccare a noi inserire la carte nella fessura, subito dopo di lui. Compare la carta. O meglio, non si sa se c’è davvero una carta. La manona si ripiega a forma di carta lasciando intendere che ne racchiude una. Lui si gira sospettoso. E anche indispettito perché lo stiamo guardando. Avvicina alla prima anche l’altra mano, crea una specie di camera di sicurezza umana per la carta che finalmente avvicina allo sportello. Proteggendola col suo intero corpo la inserisce accompagnandola dentro finché non è tutta dentro. Ricordo che non è necessario spingerla, ma lui lo fa: non si sa mai qualcuno la veda e faccia poi qualche magia telepatica per rubargli del denaro dal conto corrente. 



Si rigira a guardarci minaccioso. Oso scuotere la testa ma mi paralizzo osservandolo meglio: potrebbe diventare pericoloso, come gli animali che si sentono attaccati. A questo punto siamo divisi tra curiosi e impauriti, mi sposto rapidamente dalla prima alla seconda categoria. È il momento del PIN. La tastiera è a destra. Sposta il fianco destro verso il vano dello sportello, mano a coppa sopra la tastiera e, slogandosi due o tre dita, digita il codice. Tra l’altro in modo così plateale che si comprende quali tasti ammacca: 66924. Questo e il caso del precedente post sono esempi che vi fanno capire come sia facile carpire un codice PIN. Se ci riesco io che sono innocuo e non ho interesse a farlo, pensate uno che ci vuole marciare.



Ora comincia il bello. Il menu. Deve pigiare i tasti a fianco dello schermo per procedere con le operazioni, ma sa che facendolo farà capire quale operazione sta eseguendo. E allora con tutto il bacino penetra nella cavità lasciando lo spazio solo per la manona. Capisce solo al quarto tentativo che deve usare lo schermo touch. Tocca lo schermo per un paio di volte, tre. Forse si sta innamorando del Bancomat o forse è vero il contrario, ma certamente si intravede tra i due qualcosa in più del semplice rapporto uomo-macchina. Una signora accanto a me, prima ride e poi si copre gli occhi sdegnata.

Inaspettatamente (per lui) lo sportello restituisce la carta. Come se l’avessero colto di sorpresa nudo mentre ruba le ciliegie a un fruttivendolo, il nostro amico si riappiccica al vano dello sportello: ormai è un’attrazione fatale. Non sa, o non ricorda, che non appena rimossa la carta, si apre il cassettino dove viene erogato il contante. Il panico. Non sa cosa deve proteggere prima: la carta o il denaro? Altro colpo di bacino verso il Bancomat (che a questo punto vorrà forse lasciato il numero di telefono per mantenere i contatti) e recupera entrambi. Io e la signora ridiamo. Lui se ne accorge. Noi smettiamo subito ma tardi: lui se n’è accorto.



A questo punto, paonazzo, sa che abbiamo scoperto di che colore è la sua carta (e riconosco anche di che banca è) e che l’operazione era un prelevamento. Le sue labbra si muovono, borbotta. Gli cade il giornale che, mi ero dimenticato, durante questo amplesso con lo sportello era rimasto fedelmente sotto il braccio. Lo raccoglie, e vediamo tutti una specie di elastico, in vita e, davanti, una taschina. Nasconde fugacemente carta e denaro e, ormai scoperto, si allontana dicendo esplicitamente parolacce.

Mi avvicino allo sportello, è il mio turno finalmente, e vedo la ricevuta dell’operazione. Gliela do, o non gliela do? Mi sento buono, lo richiamo e la agito da lontano. Lui, con una mano che risistema la taschina segreta dentro i pantaloni, un’altra che cerca di trattenere il giornale e gli occhiali da sole che stanno per scivolare dal naso, corre verso di me:

- Non si preoccupi – gli dico – non ho guardato nulla



Non è vero. Ha prelevato 250 euro, residuo del mese 1100 euro, saldo 5476.38.

Emette un suono che decido essere un “grazie” ma che assomiglia più a uno “sgrunt”. Perché in cuor suo lo sa che ora so tutto delle sue finanze. Ma chi mi conosce lo sa, sono dispettoso…

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