Non si tratta del remake di una
frase di retaggio dantesco (non ragioniam di lor ma guarda e passa, Inferno,
III, 51) o, come diceva la mia professoressa di italiano (credo buonanima)
dantiana, visto che dantesco sarebbe da usare con accezione negativa. No,
Niente Commedia, soltanto un semplice postludio al versetto “digitare il PIN…” che
ci accompagna tutte le volte che vampirizziamo il nostro conto corrente.
Sì, oggi parliamo un pochino di
Bancomat, quello che cerchiamo disperatamente alle 23.30 di una piovosa notte
di Gennaio, trovando solo scritte “Sportello momentaneamente fuori servizio per
cause tecniche”. Salvo poi scoprire dall’immancabile amico del Centro
Elaborazione Dati, che sovrintende alla gestione remota degli sportelli
automatici, che le cause tecniche erano semplicemente una pipì urgente di un
tecnico che ha ritardato il riavvio di un programma. E pazienza, un terzo della
città senza Bancomat per mezz’ora, che sarà mai? Fortunatamente gli sportelli
delle altre banche, quelle dove paghiamo la commissione, funzionano sempre alla
perfezione. Io che con la mia banca non pago commissione da nessuna parte
ovviamente trovo fuori servizio tutti gli sportelli di tutte le banche. Praticamente
sempre. La regola della massima sfiga non può essere contraddetta (vedi anche
la serie di film “Final Destination”).
Ma non è delle amenità
hardware-software degli sportelli che vi voglio parlare tipo l’inserimento
della pubblicità o il tasto “donazioni” (ve lo immaginate uno che vuole fare una
donazione? Si veste, scende da casa, cerca disperatamente uno sportello non
fuori servizio per cause tecniche e quindi fa la donazione). No. Parlerò della
fauna da Bancomat e in particolare dei bradipi dello sportello.
E di lei. Oggi vi parlo di lei.
Poi vi parlerò di lui. (Tratti entrambi da storie vere).
Età tipica intorno ai 50-55 anni.
Occhiali tartarugati con ciascuna lente da almeno 4 pollici (che ci deve fare
l’Apple Watch!). Miopia, presbiopia, astigmatismo e ogni altro difetto visivo
combinati in un cocktail mortale. Altezza indefinita, ma sempre incompatibile
con l’angolo formato tra lo schermo dello sportello e la direzione della luce
incidente. Anche se usa lo stesso sportello, si troverà lì in orari diversi per
obbedire alla regola suddetta. Borsa grande e capiente, portata a braccio.
Disordinata. Portafogli con almeno diciassette scomparti di cui uno solo, e non
sempre lo stesso, contiene a sua volta un porta carte che a sua volta contiene
una bustina trasparente protettiva che a sua volta contiene la carta Bancomat.
Telefonino, posto alla rinfusa nella borsa, contenente tra i contatti uno che
dice “PIN carta” seguito dalle cifre del PIN. Nelle versioni più da incubo
estremo, cagnolino urlo-abbaiante al guinzaglio.
Arrivo in coda. Lei è l’ultima.
Glielo chiedo, me lo conferma. Guardo l’ora perché so che sarà durissima.
Almeno 10 minuti solo per la sua operazione. Arriva il suo turno. Si avvicina
con lentezza oscillante verso lo sportello. E che cazzo, preparati prima la
carta! No, arriva là davanti e comincia a rovistare nella borsa. Per un attimo
la immagino fare lo stesso nei pantaloni del marito e improvvisamente vedo una
coppia in crisi. Finalmente ecco il portafogli multitasca. La prima, la
seconda… Non trova la carta. Si allontana dallo sportello “verso la luce”
(quella verso la quale tra poco penso di desiderare di muovermi io) poi ha un
guizzo e ricorda che all’ultimo prelevamento (sarebbe corretta anche la parola
prelievo, ma prelevamento lo è di più NdR) il portacarte con la famigerata
bustina l’ha messo nello scomparto #13. Sono già passati quasi due minuti. La
plastica della bustina si è incollata alla carta Bancomat. Non esce. Lei ha le
unghia lunghe, non riesce ad afferrarla bene, ma “la luce” (questa volta quella
divina) le viene in aiuto e la fa scivolare fuori per incanto. Io soffro con
lei, ma non per lei.
Nello sportello lampeggia
vistosamente una luce verde in corrispondenza di una fessura.. Vistosamente. E
quando dico vistosamente intendo proprio vistosamente. E se non fossi stato
chiaro: vistosamente. Sullo schermo c’è una grande scritta che invita ad
introdurre la carta. Uno più uno… Ma lei no. Inebetita (o forse proprio ebete),
borsa al braccio, occhiali storti sul naso bocca semiaperta con denti sporchi
di rossetto fissa questo mostro: dove dovrò inserire la carta? Alla fine va “alla
femminina”, prova tutte le fessure. E, secondo voi, qual è quella che prova per
ultima? Ma ovviamente quella con la luce lampeggiante!! Si gira persino! Si
gira sorridendomi, sperando in un’empatia che ovviamente non trova: siamo già a
oltre 4 minuti.
Lo schermo chiede il PIN per
procedere. Lei ovviamente non lo ricorda. Come si fa a ricordare una temibile
sequenza lunga ben cinque numeri? Lo aveva scritto sulla carta una volta
(furba) ma aveva capito che non poteva funzionare. Non tanto perché le avevano
rubato borsa e portafogli, “la luce” l‘aveva assistita anche in quel caso, ma
perché una volta che la carta era dentro lo sportello, come faceva a leggere il
numero che ci aveva scritto sopra? Ecco quindi il soccorso del telefonino. Non
lo chiama “Casa” o “Pino” o “Ciccio”, lo chiama proprio “PIN Carta”. Perché è
temeraria. Perché la nostra femmina da Bancomat è la nostra eroina, e anche la mia
eroina, quella che di lì a poco avrei cominciato ad assumere io per tollerarla.
Perché il PIN lo leggo io a distanza: 53479. Perché ora sono io a desiderare di
andare verso “la luce”.
Ma finalmente ecco che prende il
coraggio a due mani per cominciare l’immissione del PIN. Ma la vedi che si
allontana, si avvicina, si abbassa si alza, toglie gli occhiali, mette la mano
alla fronte per farsi ombra… e capisci: il riverbero. Non vede bene lo schermo.
Potremmo definirlo ossimoricamente il lato oscuro “della luce”. Dopo vari
aggiustamenti trova finalmente l’allineamento: la mano tremante, forse
emozionata, si avvicina alla tastiera. Non so, si fa per dire, se odiarla o
fare il tifo.
E lo senti, lento quel suono,
cinque volte cinque maledettissime cifre: bip-bip-bip-bip-bip del suo PIN.
Lento sì. Tra un bip e l’altro una pausa di almeno due secondi.
Bip-e-guardo-nel-telefonino-l’altra-cifra. Meno male che sono solo 5!
Ed ecco il menu. Lei doveva solo
prelevare, ma è troppo ghiotta l’occasione: estratto conto, Movimenti,
Disposizioni, Ricariche…
Si può lasciare lì tutto quel ben di Dio gratis? Si
gira di nuovo. Ma quello che vedo non è più un sorriso, è un ghigno. E comincia
con l’estratto conto, il saldo (che ovviamente era contenuto nell’estratto
conto), ricarica del telefono (sbagliando tre o quattro volte dato che
dimentica che lo zero è stato rimosso dai prefissi dei cellulari da anni,
perché non lo ricorda a memoria, ma è memorizzato in un altro contatto del
cellulare) e infine il prelevamento. E a ogni volta la carta viene sputata
fuori, perché quello sportello e quella banca così prevedono: una operazione
alla volta. Per motivi di sicurezza. E nel frattempo il sole si è spostato e l’allineamento
per guardare bene lo schermo si è perso… Tutto daccapo.
Ma tutto ciò che comincia ha una
fine. E anche lei dopo i ben previsti dieci minuti finisce. Ma non se ne va
subito. La luce verde torna a lampeggiare allegra per dire: ehi, sono qui prossimo
cliente, perché non vieni a inserire la tua carta? Ma lei non se ne va. Ha
preso soldi, scontrini, ricevute della ricarica, gli estratti conto, il saldo.
Ha tutto… ha pure letto “Operazione conclusa. Tra breve sarà possibile
effettuare una nuova operazione”. Ma lei deve aspettare pure il “breve” Non sia
mai che il sistema le debba dare qualche altra ricevuta per la sua collezione
da portafogli. Ed è lì che mi avvicino per scacciarla, per indignarmi con il
massimo del mio linguaggio non verbale, per redarguirla con i miei feromoni. E
lei finalmente se ne va. Ho già pronta la mia carta, guardo quel verde
lampeggiante come una palma in un’oasi quando, appena a tiro di visuale,
intravedo la scritta rossa: “Sportello momentaneamente fuori servizio per cause
tecniche”. Mi giro con odio verso di lei che dalla fermata dell’autobus mi sta
sbirciando mentre, ne sono sicuro, ride alle mie spalle.
Nessun commento:
Posta un commento
Da qui in poi potete sfogarvi con tutta l'anima che avete in corpo