domenica 11 ottobre 2015

...curando di non essere osservati (Lui)

Dopo la nostra amica impacciata che ci ha fatto perdere minuti preziosi della nostra vita, tocca al suo compare. Magari è pure suo marito. Sì, perché anche i maschietti sanno come rendersi amabilmente dei gran rompipalle quando devono fare un’operazione ad un Bancomat. Anche e forse soprattutto le operazioni che fanno ogni volta.
Il nostro lui è di solito un over 60, pantaloni chiari, beige, camicia di una misura più grande a quadretti, baffi, sguardo da donnola, dopobarba antizanzara, piedino nervoso, quotidiano locale piegato in 4 messo sotto il braccio, sguardo perso nel vuoto, appoggiato a una fioriera o palo più vicini con indifferenza e noncuranza.



Non sta in fila, non in modo evidente. Lui “sa”, sa dopo di chi è e prima di chi è. Lui “sa”. Osserva da lontano. Lui sa, lui controlla. Si fa notare per far vedere che esiste, ma apparentemente non sta in coda. E perché…? Perché non sia mai che qualcuno capisca che sta ritirando dei soldi. Nessuno degli altri in coda ha infatti capito che lui è lì per quello. Ma lui è più furbo, di noi, di tutti. Perché il mondo è pieno di gente cattiva che si è alzata la mattina solo perché vuole i suoi soldi. E che probabilmente lo ha anche seguito. E che probabilmente lo sta pure osservando in quel momento. Perciò lui sta lontano dallo sportello, sotto la telecamera di sorveglianza, chissà a qualcuno venisse in mente di aggredirlo.



Arrivato il suo turno, improvvisamente si materializza e, dopo essersi messo gli occhiali da sole (sì, avete capito bene, se li mette dopo) con un gesto della mano blocca tutti con i suoi superpoteri: c’ero io, adesso vengo io. Sì, ok, ti avevamo visto, se magari stavi in coda insieme a noi plebaglia mortale forse ci faresti più simpatia.



A questo punto comincia il balletto. NON ha un portafogli, ma prende la carta da una zona segreta dei suoi pantaloni che si trova nella parte anteriore. Tutti noi in fila speriamo che sia una tasca. Se vi chiedete perché, pensate che ciascuno di noi sa che poi dovrà toccare a noi inserire la carte nella fessura, subito dopo di lui. Compare la carta. O meglio, non si sa se c’è davvero una carta. La manona si ripiega a forma di carta lasciando intendere che ne racchiude una. Lui si gira sospettoso. E anche indispettito perché lo stiamo guardando. Avvicina alla prima anche l’altra mano, crea una specie di camera di sicurezza umana per la carta che finalmente avvicina allo sportello. Proteggendola col suo intero corpo la inserisce accompagnandola dentro finché non è tutta dentro. Ricordo che non è necessario spingerla, ma lui lo fa: non si sa mai qualcuno la veda e faccia poi qualche magia telepatica per rubargli del denaro dal conto corrente. 



Si rigira a guardarci minaccioso. Oso scuotere la testa ma mi paralizzo osservandolo meglio: potrebbe diventare pericoloso, come gli animali che si sentono attaccati. A questo punto siamo divisi tra curiosi e impauriti, mi sposto rapidamente dalla prima alla seconda categoria. È il momento del PIN. La tastiera è a destra. Sposta il fianco destro verso il vano dello sportello, mano a coppa sopra la tastiera e, slogandosi due o tre dita, digita il codice. Tra l’altro in modo così plateale che si comprende quali tasti ammacca: 66924. Questo e il caso del precedente post sono esempi che vi fanno capire come sia facile carpire un codice PIN. Se ci riesco io che sono innocuo e non ho interesse a farlo, pensate uno che ci vuole marciare.



Ora comincia il bello. Il menu. Deve pigiare i tasti a fianco dello schermo per procedere con le operazioni, ma sa che facendolo farà capire quale operazione sta eseguendo. E allora con tutto il bacino penetra nella cavità lasciando lo spazio solo per la manona. Capisce solo al quarto tentativo che deve usare lo schermo touch. Tocca lo schermo per un paio di volte, tre. Forse si sta innamorando del Bancomat o forse è vero il contrario, ma certamente si intravede tra i due qualcosa in più del semplice rapporto uomo-macchina. Una signora accanto a me, prima ride e poi si copre gli occhi sdegnata.

Inaspettatamente (per lui) lo sportello restituisce la carta. Come se l’avessero colto di sorpresa nudo mentre ruba le ciliegie a un fruttivendolo, il nostro amico si riappiccica al vano dello sportello: ormai è un’attrazione fatale. Non sa, o non ricorda, che non appena rimossa la carta, si apre il cassettino dove viene erogato il contante. Il panico. Non sa cosa deve proteggere prima: la carta o il denaro? Altro colpo di bacino verso il Bancomat (che a questo punto vorrà forse lasciato il numero di telefono per mantenere i contatti) e recupera entrambi. Io e la signora ridiamo. Lui se ne accorge. Noi smettiamo subito ma tardi: lui se n’è accorto.



A questo punto, paonazzo, sa che abbiamo scoperto di che colore è la sua carta (e riconosco anche di che banca è) e che l’operazione era un prelevamento. Le sue labbra si muovono, borbotta. Gli cade il giornale che, mi ero dimenticato, durante questo amplesso con lo sportello era rimasto fedelmente sotto il braccio. Lo raccoglie, e vediamo tutti una specie di elastico, in vita e, davanti, una taschina. Nasconde fugacemente carta e denaro e, ormai scoperto, si allontana dicendo esplicitamente parolacce.

Mi avvicino allo sportello, è il mio turno finalmente, e vedo la ricevuta dell’operazione. Gliela do, o non gliela do? Mi sento buono, lo richiamo e la agito da lontano. Lui, con una mano che risistema la taschina segreta dentro i pantaloni, un’altra che cerca di trattenere il giornale e gli occhiali da sole che stanno per scivolare dal naso, corre verso di me:

- Non si preoccupi – gli dico – non ho guardato nulla



Non è vero. Ha prelevato 250 euro, residuo del mese 1100 euro, saldo 5476.38.

Emette un suono che decido essere un “grazie” ma che assomiglia più a uno “sgrunt”. Perché in cuor suo lo sa che ora so tutto delle sue finanze. Ma chi mi conosce lo sa, sono dispettoso…

sabato 3 ottobre 2015

...curando di non essere osservati (Lei)

Non si tratta del remake di una frase di retaggio dantesco (non ragioniam di lor ma guarda e passa, Inferno, III, 51) o, come diceva la mia professoressa di italiano (credo buonanima) dantiana, visto che dantesco sarebbe da usare con accezione negativa. No, Niente Commedia, soltanto un semplice postludio al versetto “digitare il PIN…” che ci accompagna tutte le volte che vampirizziamo il nostro conto corrente.



Sì, oggi parliamo un pochino di Bancomat, quello che cerchiamo disperatamente alle 23.30 di una piovosa notte di Gennaio, trovando solo scritte “Sportello momentaneamente fuori servizio per cause tecniche”. Salvo poi scoprire dall’immancabile amico del Centro Elaborazione Dati, che sovrintende alla gestione remota degli sportelli automatici, che le cause tecniche erano semplicemente una pipì urgente di un tecnico che ha ritardato il riavvio di un programma. E pazienza, un terzo della città senza Bancomat per mezz’ora, che sarà mai? Fortunatamente gli sportelli delle altre banche, quelle dove paghiamo la commissione, funzionano sempre alla perfezione. Io che con la mia banca non pago commissione da nessuna parte ovviamente trovo fuori servizio tutti gli sportelli di tutte le banche. Praticamente sempre. La regola della massima sfiga non può essere contraddetta (vedi anche la serie di film “Final Destination”).



Ma non è delle amenità hardware-software degli sportelli che vi voglio parlare tipo l’inserimento della pubblicità o il tasto “donazioni” (ve lo immaginate uno che vuole fare una donazione? Si veste, scende da casa, cerca disperatamente uno sportello non fuori servizio per cause tecniche e quindi fa la donazione). No. Parlerò della fauna da Bancomat e in particolare dei bradipi dello sportello.
E di lei. Oggi vi parlo di lei. Poi vi parlerò di lui. (Tratti entrambi da storie vere).

Età tipica intorno ai 50-55 anni. Occhiali tartarugati con ciascuna lente da almeno 4 pollici (che ci deve fare l’Apple Watch!). Miopia, presbiopia, astigmatismo e ogni altro difetto visivo combinati in un cocktail mortale. Altezza indefinita, ma sempre incompatibile con l’angolo formato tra lo schermo dello sportello e la direzione della luce incidente. Anche se usa lo stesso sportello, si troverà lì in orari diversi per obbedire alla regola suddetta. Borsa grande e capiente, portata a braccio. Disordinata. Portafogli con almeno diciassette scomparti di cui uno solo, e non sempre lo stesso, contiene a sua volta un porta carte che a sua volta contiene una bustina trasparente protettiva che a sua volta contiene la carta Bancomat. Telefonino, posto alla rinfusa nella borsa, contenente tra i contatti uno che dice “PIN carta” seguito dalle cifre del PIN. Nelle versioni più da incubo estremo, cagnolino urlo-abbaiante al guinzaglio.

Arrivo in coda. Lei è l’ultima. Glielo chiedo, me lo conferma. Guardo l’ora perché so che sarà durissima. Almeno 10 minuti solo per la sua operazione. Arriva il suo turno. Si avvicina con lentezza oscillante verso lo sportello. E che cazzo, preparati prima la carta! No, arriva là davanti e comincia a rovistare nella borsa. Per un attimo la immagino fare lo stesso nei pantaloni del marito e improvvisamente vedo una coppia in crisi. Finalmente ecco il portafogli multitasca. La prima, la seconda… Non trova la carta. Si allontana dallo sportello “verso la luce” (quella verso la quale tra poco penso di desiderare di muovermi io) poi ha un guizzo e ricorda che all’ultimo prelevamento (sarebbe corretta anche la parola prelievo, ma prelevamento lo è di più NdR) il portacarte con la famigerata bustina l’ha messo nello scomparto #13. Sono già passati quasi due minuti. La plastica della bustina si è incollata alla carta Bancomat. Non esce. Lei ha le unghia lunghe, non riesce ad afferrarla bene, ma “la luce” (questa volta quella divina) le viene in aiuto e la fa scivolare fuori per incanto. Io soffro con lei, ma non per lei.



Nello sportello lampeggia vistosamente una luce verde in corrispondenza di una fessura.. Vistosamente. E quando dico vistosamente intendo proprio vistosamente. E se non fossi stato chiaro: vistosamente. Sullo schermo c’è una grande scritta che invita ad introdurre la carta. Uno più uno… Ma lei no. Inebetita (o forse proprio ebete), borsa al braccio, occhiali storti sul naso bocca semiaperta con denti sporchi di rossetto fissa questo mostro: dove dovrò inserire la carta? Alla fine va “alla femminina”, prova tutte le fessure. E, secondo voi, qual è quella che prova per ultima? Ma ovviamente quella con la luce lampeggiante!! Si gira persino! Si gira sorridendomi, sperando in un’empatia che ovviamente non trova: siamo già a oltre 4 minuti.



Lo schermo chiede il PIN per procedere. Lei ovviamente non lo ricorda. Come si fa a ricordare una temibile sequenza lunga ben cinque numeri? Lo aveva scritto sulla carta una volta (furba) ma aveva capito che non poteva funzionare. Non tanto perché le avevano rubato borsa e portafogli, “la luce” l‘aveva assistita anche in quel caso, ma perché una volta che la carta era dentro lo sportello, come faceva a leggere il numero che ci aveva scritto sopra? Ecco quindi il soccorso del telefonino. Non lo chiama “Casa” o “Pino” o “Ciccio”, lo chiama proprio “PIN Carta”. Perché è temeraria. Perché la nostra femmina da Bancomat è la nostra eroina, e anche la mia eroina, quella che di lì a poco avrei cominciato ad assumere io per tollerarla. Perché il PIN lo leggo io a distanza: 53479. Perché ora sono io a desiderare di andare verso “la luce”.



Ma finalmente ecco che prende il coraggio a due mani per cominciare l’immissione del PIN. Ma la vedi che si allontana, si avvicina, si abbassa si alza, toglie gli occhiali, mette la mano alla fronte per farsi ombra… e capisci: il riverbero. Non vede bene lo schermo. Potremmo definirlo ossimoricamente il lato oscuro “della luce”. Dopo vari aggiustamenti trova finalmente l’allineamento: la mano tremante, forse emozionata, si avvicina alla tastiera. Non so, si fa per dire, se odiarla o fare il tifo.
E lo senti, lento quel suono, cinque volte cinque maledettissime cifre: bip-bip-bip-bip-bip del suo PIN. Lento sì. Tra un bip e l’altro una pausa di almeno due secondi. Bip-e-guardo-nel-telefonino-l’altra-cifra. Meno male che sono solo 5!
Ed ecco il menu. Lei doveva solo prelevare, ma è troppo ghiotta l’occasione: estratto conto, Movimenti, Disposizioni, Ricariche…



Si può lasciare lì tutto quel ben di Dio gratis? Si gira di nuovo. Ma quello che vedo non è più un sorriso, è un ghigno. E comincia con l’estratto conto, il saldo (che ovviamente era contenuto nell’estratto conto), ricarica del telefono (sbagliando tre o quattro volte dato che dimentica che lo zero è stato rimosso dai prefissi dei cellulari da anni, perché non lo ricorda a memoria, ma è memorizzato in un altro contatto del cellulare) e infine il prelevamento. E a ogni volta la carta viene sputata fuori, perché quello sportello e quella banca così prevedono: una operazione alla volta. Per motivi di sicurezza. E nel frattempo il sole si è spostato e l’allineamento per guardare bene lo schermo si è perso… Tutto daccapo.




Ma tutto ciò che comincia ha una fine. E anche lei dopo i ben previsti dieci minuti finisce. Ma non se ne va subito. La luce verde torna a lampeggiare allegra per dire: ehi, sono qui prossimo cliente, perché non vieni a inserire la tua carta? Ma lei non se ne va. Ha preso soldi, scontrini, ricevute della ricarica, gli estratti conto, il saldo. Ha tutto… ha pure letto “Operazione conclusa. Tra breve sarà possibile effettuare una nuova operazione”. Ma lei deve aspettare pure il “breve” Non sia mai che il sistema le debba dare qualche altra ricevuta per la sua collezione da portafogli. Ed è lì che mi avvicino per scacciarla, per indignarmi con il massimo del mio linguaggio non verbale, per redarguirla con i miei feromoni. E lei finalmente se ne va. Ho già pronta la mia carta, guardo quel verde lampeggiante come una palma in un’oasi quando, appena a tiro di visuale, intravedo la scritta rossa: “Sportello momentaneamente fuori servizio per cause tecniche”. Mi giro con odio verso di lei che dalla fermata dell’autobus mi sta sbirciando mentre, ne sono sicuro, ride alle mie spalle.

domenica 27 settembre 2015

Light, zero, normale

Sì, stavolta l’intuizione è corretta. Parleremo della bibita più conosciuta, amata, odiata, usata diffusa, abusata che conosciamo. Non la menziono in esplicito perché non conosco la legislazione in merito, ma dopo che una poveraccia si è beccata una denuncia da parte della Ferrero per avere usato in modo “improprio” il nome di un suo “notissimo prodotto (“quel prodotto”) se permettete mi proteggo le natiche.



Bene, Tutto nasce alla fine del XIX secolo quando un farmacista (foto) la creò. Pensate che anche la nota salsa ketchup nasce come sperimentazioni farmacologiche… insomma, magari fra cinquanta anni i nostri pronipoti mangeranno bistecche (di vitello o di soia, vedi post precedenti qui e qui) condite con Betotal e innaffiate da un bel Bisolvon d’annata. Chissà…

Nel frattempo, abbiamo a che fare con queste benedette bevande a base di cola. Anzi, più precisamente, a base di noce di cola (foto), un genere di piante comprendenti varie specie. La noce di cola conferisce il classico aroma alla bevanda oltre a dotarla di ingenti quantità di caffeina, naturalmente contenuta in essa.



Sfatiamo quindi il primo mito: nella bevanda suddetta non viene aggiunto caffè. Nemmeno per colorarla. Si utilizza un colorante (diciamo) innocuo che è il caramello.

Ma andiamo alle informazioni nutrizionali. O forse sarebbe meglio dire malnutrizionali. E sì, perché quando in una giornata di piena estate, quando le goccioline di sudore si formano sulla nostra schiena e poi cominciano a scivolare verso la zona lombare, e noi abbiamo messo erroneamente una camicia con le maniche lunghe, arrotolate, magari nera… Ecco, in quel momento appare un bar e il nostro pensiero va immediatamente alla pubblicità di questi bicchieri pieni di ghiaccio, con questo liquido ambrato dentro, il tintinnio, la bocca che si avvicina il “aaah” finale. Scontrino fatto e bottiglia da 500 ml comprata. Bene, miei cari, in quel momento state facendo vari tipi di danni.

No, non state favorendo l’osteporosi per via dell’acido ortofosforico contenuto che soubilizza le vostre ossa nel sangue (suvvia! Non avrete mica creduto alle cavolate che scrivono in rete!) né l’ulcera (il pH presente nello stomaco è molto più basso di quello della bibita). Se così fosse, avremmo tutti le ossa rotte e le mucose di bocca ed esofago completamente corrose visto che non sono “progettate” per resistere a pH inferiori a quelli dello stomaco. Questo per dirvi di stare sempre attenti alle mille cazzate che si leggono qua e là.

Sì, certo, con la XXX si possono sturare i bagni e i lavandini. In quel caso il pH è sufficiente per attaccare incrostazioni  (tipicamente a base di calcare e magnesite) ma a parte questa “magia”, la XXX è innocua da questo punto di vista.



Da questo punto di vista… ma non da altri. Se andiamo a leggere le informazioni nutrizionali, notiamo che essenzialmente domina un solo macronutriente e cioè i glucidi. Si legge, infatti che i carboidrati sono circa 10.0 g per 100 ml, di cui zuccheri circa 9.2-9.3 g (il resto sono amidi, altri carboidrati, più complessi). Ebbene, in 500 ml vi sono quindi circa 50.0 g di carboidrati, corrispondenti a quelli contenuti in 70-80 g di pasta (dipende il tipo).



Sì, strabuzzate pure gli occhi. Questa è la realtà. E non solo. Mentre i 50.0 g di carboidrati della pasta vengono assorbiti con maggiore lentezza, quelli della bevanda sono assorbiti immediatamente stimolando uno sbalzo glicemico che induce produzione di insulina che provoca poi un abbassamento della glicemia generando senso di fame… creando un circolo vizioso.

Sì, ok, la XXX non è necessaria. I nutrizionisti ci dicono di bere acqua naturale. O tè. Verde. Quello nero (molto più buono… secondo me) non va bene, potrebbe infiammare il colon (Per semplificare: se ti piace fa male o non fa bene). Ma i nutrizionisti ci dicono molte cose che alla lunga possono indurre una persona equilibrata verso il suicidio. Poco sale, limitare il pepe, l’aceto (l’aceto!? Ma che colpa ha?), il pomodoro ok ma può formare ossalati di calcio e quindi calcoli, niente fritture (ce l’hanno tutti con le patatine), poca carne rossa, frutta sì, ma non troppa perché sempre zuccheri sono, alcolici giammai… Ma che palle…!



Sì, beviamocela sta XXX ogni tanto, e anche più di ogni tanto, ma almeno scegliamo una versione senza zuccheri. Da noi in Italia ce ne sono due tipi, con dolcificanti sintetici. In altri paesi ne vendono altre con dolcificanti naturali. Costano magari di più ma ne vale la pena.

Ma andiamo alla cena con amici. Lasciamo stare situazioni complicate. Mettiamo semplicemente pizza, patatine, e poi caffè (vedi post precedenti qui, qui e qui).

La pizza e le patatine insieme sono una specie di una Caporetto dei carboidrati. Aggiungiamoci anche un po’ di ketchup. Che purtroppo molti si ostinano a chiamare “il” quando a mio parere dovrebbe essere “la” dato che è una salsa (femmina). Come “il” cheesecake è una torta quindi è femmina pure lei. Va beh…



Ma abbiamo mangiato la pizza, le patatine, abbiamo anche aggiunto ketchup (togliamo l’articolo così non stuzzichiamo nessuno). Siamo pure stati sfortunati, perché la pizzeria non aveva “il comodo formato da 0.5 l” (cit.). 33 cl di una lattina sono pochi, abbiamo preso due lattine per un totale di 660 ml di bevanda. Cioè abbiamo aggiunto altri 66 g di carboidrati circa. 90 g di pasta! Ma qui entra in gioco il bullismo da tavola:

- e certo… lui si prende la zero perché deve dimagrire

A parte che saranno anche cazzi miei quello che voglio e non voglio bere, ma anche se fosse? Visto che ho mangiato due maiali ne devo mangiare un terzo? Visto che ho speso 100 euro va bene, spendiamone altri 50? Visto che ti ho sopportato due ore allora ti sopporto per una terza?
C’è invece quello che si preoccupa per te:

- eeeh, ma in quella “tua” c’è aspartame, fa venire il cancro al cervello

Mi tocco… ovvio. Si tratta di studi non ancora confermati e, soprattutto, esistono molte alternative ugualmente economiche all’aspartame, perché i produttori dovrebbero volere la morte dei propri clienti? Certo è invece il meccanismo della risposta insulinica che, alla lunga, porta inesorabilmente allo sviluppo del diabete.


Infine, meglio acqua naturale, patate lesse, salmone al vapore senza sale e insalata scondita. Ma che palle. Viveteci voi così! Io sconfiggo arsura e calore con la mia amata bibita. Senza zucchero.

Frasi Celebri: Deianira

A chi non è capitato di essere invitato a casa di amici ed essere accolti da una padrona di casa che prima ancora che il rimbombo della chiusura della porta dell’ascensore si spegnesse nella tromba delle scale ci dice:

- scuuuusa per il disordine ma oggi sono tornata taaaaardi e Faruk viene domani… - segue bacio con lo zigomo se no le si rovina il trucco

Cominciamo intanto a dire che “Faruk” è solitamente un tipo nerboruto, solitamente extracomunitario, da cui solitamente la nostra amica è segretamente attratta. Sì, perché “Faruk” sostituisce quella che lei fino a un paio di anni prima chiamava “la signora delle pulizie”. Sapeva benissimo che si chiamava Rosalia e veniva dalla (nobilissima) zona portuale di Palermo del Borgo Vecchio, ma non osava chiamarla per nome: Rosalia è “tascio” (volgare, per i non siciliani NdR). Faruk invece… beh, Faruk è Faruk!

- Non ti preoccupare Deianira -come possiamo pensare che si chiami una stronza come questa se non Deianira? – io sono messo peggio di te



Stronza perché appena varchiamo la soglia di casa, entriamo praticamente nell’Eden della pulizia, nell’iperuranio dell’ordine, nell’enciclopedia della brillantezza. Gli occhi cercano nella disperazione ragnatele nascoste, riverberi che rivelano ditate, specchi con tracce di aloni, angoli con nanogrammi di polvere. Nulla. Perfetta. La fottuta casa di quella stronza di Deianira è perfetta.



E il buio scende sul mio volto. Perché è vero oltre ogni possibile e immaginabile verità che la mia casa è messa peggio. Perché in quel momento ricordo le quattro ceste di panni da stirare spiaggiate sulla cassapanca, i piatti di tre pasti ammonticchiati nell’acquaio, gli schizzi della frittura puliti male dopo l’ultima scorpacciata di calamari, quell’angolino vicino al battiscopa che è così difficile da spazzare… E in me si genera un conflitto. Mi spacco. Perché Deianira è mia amica, ma scopro in quel preciso momento che mi è sempre stata un po’ sulle palle, non ero mai riuscito a capire forme e contorni di quella idiosincrasia, ma ora li riconosco improvvisamente: è una odiosa, spocchiosa, presuntuosa e tutte quelle brutte parole che però si possono dire (e scrivere NdR) in pubblico (e nei blog NdR) che finiscono in –osa.

La stronza di Deianira, peraltro, non ha finito. Siccome l’umiliazione è assolutamente dolosa, e anche premeditata, meritando il massimo della pena prevista, mi chiede anche di fermarmi a cena. Sono arrivato alle sei… alle sette e mezza mi inviti, mi fa piacere… e io:

- Ordiniamo delle pizze, ma solo se le offro io!

Deianira mi guarda con quegli occhi da Barbara D’Urso, la risata da Raffaella Carrà, la corporeità di Antonella Clerici e risponde:

- ma quali piiiizzeee – Deianira allunga tutte le vocali, fa gran donna – butto giù io due cosette, certo con quello che ho in casa, ma non permetto che in casa mia entri altro cibo all’infuori di un po’ di pane. Che non faccio io solo perché è tardi. – Odio

E mentre sei in cerca del panificio, pensi a cosa starà combinando: ti aspetti una spaghettata… una frittata… salumi e formaggi con del pane… roba semplice. Per stare insieme. Bussi, riattraversi la porta per entrare “nel regno del pulito” (cit.) e senti odori e aromi degni del ristorante di Cracco.

- Ma che fai?
- Un risottino, delle polpettine al sugo, un’insalata mista e poi per dessert dei tortini cuore caldo, ma non quelli tradizionali, quelli che faccio io: ne tengo sempre una scorta pronta per situazioni come questa…

E lì sopravviene la frustrazione, immediatamente vinta dall’odio più profondo. Ma come cavolo fa questa in mezz’ora? Deve avere tutto pronto. Non è possibile. E se così non fosse andrebbe uccisa e il corpo fatto scomparire. A parte che l’insalata mista… mica è lattuga pomodoro e carote. Abbiamo i cuori di palma, la granella di noci, la mela verde, l'avocado. Sì, Deianira ha imparato a farle tramite un corso di cucina. Perché lei “sa anche cucinare”.



Cazzo, Deiani’, non potevi avere pure i cuori di palma a casa… tu mi stai imbrogliando!
E poi il colpo di grazia.

- Volevo impastare degli gnocchi veloci veloci ma mi sono accorta che ho solo le patate viola… non avevo un sugo da abbinare, potrebbero venire male. Tu lo mangi il riso mi pare…

Le patate… viola!? Il sugo da abbinare!? Ma che è tipo una prova di Masterchef? Diciamo la verità, Deiani’, hai sbagliato ad afferrare la reticella quando hai architettato tutto questo contro di me. O magari Faruk, che a questo punto decreto che è il tuo amante fisso, è venuto stamattina, ti ha strapulito e stralucidato la casa, poi ti ha dato una ripassatina e ti ha fatto anche la spesa. Tu hai poi pure avuto il tempo di fare trucco e parrucco dalla tua estetista di fiducia.



Confessa!

- È che… voi uomini non sapete fare più cose insieme…

E qui cerco un machete per devastarla… ma poi mi ricordo di avere un blog e allora prendo questa ultima frase e la metto tra quelle che devo commentare. Decido che anziché uccidere Deianira è più sano dedicarle un post.


Ti amo Deianira. Fottiti Deianira.

giovedì 24 settembre 2015

Fondalimentalismo (2/2)

Seconda parte del nostro breve tour nelle diverse modalità di alimentarsi.

Abbiamo già parlato di alcuni regimi alimentari diversi da quello onnivoro, ma la perversione e l’autolesionismo non hanno confini. E il mondo generò quindi i FRUTTARIANI. Sono quelli che mangiano solo frutta. Pensavate che vi eravate salvati con le patatine fritte e un hamburger di soia. Orrore! Solo frutta. E soprattutto niente più patatine. 



E ovviamente nemmeno Nutella! E tra loro ci sono anche degli ulteriori fondamentalismi, tipo quelli che mangiano frutta sì, ma soltanto quella che non contiene semi e non è quindi destinata alla riproduzione (ucciderebbe vite) ovvero quelli (UDITE UDITE) che mangiano soltanto frutti caduti a terra per non fare del male all’albero strappandoli.

Come se dovessimo aspettare che le unghia o i capelli ci cadano da soli, senza tagliarli mai: ma che malattia mentale li affligge? E anche questi a tavola:

- scusa, non mi siedo a tavola perché sono fruttariano
- ti porto della frutta…
- mangio solo quella caduta per terra

E a quel punto vedi la padrona di casa che (dopo avere preparato una cena luculliana) prende le pere e le mele e le comincia a scaraventare sul parquet urlandogli contro: ora te le mangi, e dal pavimento per giunta!

Lateralmente a tutti i precedenti ci sono i crudisti. Costoro, a parte il fatto che evocano i nudisti per assonanza fonica, mangiano il cibo soltanto crudo. Ok il sushi, il carpaccio. Ma dimentichiamoci sempre le patatine fritte. Il pane. Dolci e creme. Ma anche il pollo: mangereste il pollo crudo? Chi ha risposto sì sappia che poi dovrà fronteggiare interessanti batteri come la Salmonella o, meglio ancora, il Campylobacter (più possibilmente tutta un’altra serie che qualcuno con solerzia sono certo mi indicherà). Auguri e buon mal di stomaco (nella migliore delle ipotesi). Ok, ci sono pure i crudisti vegan, mangiano solo vegetali e solamente crudi. Risparmio su bolletta di elettricità e gas.




A questo punto capirete che su 100 non onnivori, una enorme quantità possiede disturbi psichici di varia natura e tutti molto severi. Perché non ditemi che è normale imporsi una rieducazione, sentirsi in colpa per avere anche solo desiderato la salsiccia a pasquetta, sniffato una grigliata di pesce, desiderato il panettone (contiene uova, latte e burro) a Natale.

“Poi ti senti meglio”, ti dicono, “più calmo, più in armonia con l’universo”… sarà… il solo pensiero di una dieta ipocalorica TEMPORANEA mi mette il panico, figuriamoci sapere che A VITA non potrò mai più mangiare carne arrostita, gamberoni, pollo allo spiedo, fonduta e poi torte e creme… A VITA! Fine pena mai. Una specie di ergastolo alimentare. Di quelli che non si è beccato nemmeno il mostro di Foligno per avere ucciso due innocenti.




Però, tra queste varie sette alimentari, nuovo culto del cibo, deificazione del cetriolo, sublimazione della patata (così non scontento nessuno)… un plauso e il mio personale inchino va a dei grandi (ma davvero GRANDI!) che hanno fatto adepti (e soldi) dietro le loro religioni alimentari. Perché davanti a una massa di imbecilli c’è sempre una grande mente che li guida (riflettete anche su questo, mutatis mutandis).
E cominciamo con il reverendo Graham e la sua dieta EDENICA: qui potete mangiare solo come Adamo ed Eva e quindi niente spezie, tè, caffè, carne e condimenti (olio, burro, aceto…) . E alcol. Niente mojito, spritz, prosecchini e brindisi di fine anno. Il suicidio potete però tentarlo con una corda. Ma non sintetica, deve essere di canapa.



Segue il Dr. Cordain con la sua PALEODIETA, basata su come mangiavamo nel paleolitico (scavando scavando avranno magari trovato qualche ricettario) e “ovviamente” su cibi e ingredienti sapientemente venduti in appositi negozi (oggi anche online). Peccato che nel paleolitico l’età media pare fosse la metà di quella odierna… ma che importa?

C’è poi il signor (paraculo!) Rubin che ha teorizzato una dieta BIBLICA: come contraddirla? Se lo dice la Bibbia! Dobbiamo evitare le anguille (vedrai che perdita) ma anche i crostacei ( e va beh) e il maiale (tragedia!). In compenso possiamo fare abbuffata di locuste (!!) e bestiame che rumina.

Ma il mio idolo, signori miei, è la signora Greve, BRETHARIANA. I brethariani (che dal nome sembrerebbero proprio una popolazione aliena) sostengono di essere così in armonia con l’universo da non avere più bisogno di cibo in assoluto. Risparmiamo quindi su biscotti, carne, e latte, ma dobbiamo ovviamente seguire tutta una serie di seminari e corsi che ci portano verso questa catarsi. A pagamento, s’intende.




Furbi. I furbi ci sono sempre. I furbi sono ovunque. Sono dietro agli hamburger di soia a 70 euro al Kg, dietro la salsa di soia a 25 euro al litro, il seitan, il tofu, i legumi importati da chissà dove a peso d’oro… dietro seminari, pubblicazioni, ricette, siti… rendendo tali diete – ed è questo che anche mi fa apparire odioso tutto questo sistema –dei regimi alimentari per ricchi. Che poi sono anche spocchiosi nei confronti di chi fa la spesa negli hard discount o mangia la prima cosa che capita. Non ce ne saranno fra voi, ma costoro le loro filosofie alimentari dovrebbero mettersele proprio lì.

Chiudo con un ultima classe, quella dei locavori. Chi sono? Sono quelli che mangiano soltanto roba prodotta vicino al luogo in cui abitano. Qui noi ci andiamo un po’ fottuti perché negli US la distanza limite è 100 miglia (160,9 km), da noi 100 km… Pare che alcuni presi dal panico stiano pensando di vendere i loro averi per trasferirsi nel raggio della cittadina che produce salumi, formaggi e verdure preferite…

Ultima iniziativa sembra essere quella dei vegani, alcuni dei quali vedo il rapporto con la carne come una crociata contro gli onnivori che sono da catechizzare e convincere. Peggio dei Testimoni di Geova. Vi parlerò dell’uscita a due con un vegano in un prossimo post. Un’esperienza. Vi dico subito che parebbe essere in piedi l’idea di fare un Vegan –pride. Sarebbe una cazzata che potrebbe essere seconda solo al gay pride. Perché, lo ricordo, pride vuol dire orgoglioso. E non si deve essere orgogliosi proprio di nulla, ognuno è come è: gay, etero, onnivori, vegani, fruttariani e compagnia.


E adesso andatemi tutti addosso ma ricordatevi: voi siete vegani, io no. Voi non potete mangiare me, ma io voi sì. Ricordandoci tutti, che ogni eccesso è dannoso e l’equilibrio fa bene sempre e ad ogni livello.

domenica 20 settembre 2015

Fondalimentalismo (1/2)

Non è un refuso, il titolo è proprio quello: fondalimentalismo. Ovvero il fondamentalismo alimentare. E sì, perché mentre qualche secolo fa ci si batteva anche fino alla morte solo per religione o patriottismo, oggi la guerra i fa anche sull’alimentazione: vegetariani, vegani (che sono molto diversi e si offendono se li chiamate vegetariani), locavori, crudisti, edenisti… la perversione umana – permettetemi!! – ha invaso anche una delle cose più piacevoli della nostra vita e cioè il cibo!



Potremmo parlare parecchio di quelle che per me sono assurdità (odio ogni forma di esagerazione ed estremismo), ma qui mi limiterò ad un paio di osservazioni. Sono certo che:

a) alcuni di voi mi toglieranno il saluto (e già sono pochi…)
b) perderò amici di facebook (chìssene)
c) molti non conoscono tutte le (folli e perverse) varianti alimentari che vi proporrò
d) combatterò sempre ogni forma di esagerazione, i vostri commenti non potranno farmi indietreggiare
(Nota: se troverete un “NR” ad un commento vorrà dire che l’ho letto ma che preferisco non rispondere. Evito polemiche.)

Da piccoli si mangiava tutto senza troppi problemi. Possiamo dire che tutti noi eravamo onnivori. Carne, pesce, latte, uova, formaggi, frutta, verdura… quella che si chiama una dieta sana ed equilibrata. Sì, certo, c’erano gli asceti, il Dalai Lama, Ghandi. 



Ma parliamo di personaggioni, non di noi comuni abitanti del pianeta. Posto che la grandezza del personaggio potesse essere correlata al fatto che mangiava solo bacche e radici (parliamone).
Ma poi si diffuse il vegetarianesimo su larga scala. “Mangio tutto ma non carne e pesce” (però magari la pastina col dado me la fai che ho il raffreddore?). Poi arrivò qualcuno e disse: e le uova? Potrebbero diventare pulcini. E il latte? È un derivato animale. Zero latte quindi, e zero formaggi (pensate a essere condannati a vita a mangiare la pizza senza mozzarella). E il miele? Anche il miele, derivato animale… Va bene, però qualche proteina animale la devo mangiare… e allora qualche “deroga” la mettiamo. E allora (scommetto che c’è lo zampino di qualche italiano) diciamo che siamo vegetariani, ma latte e uova e miele sì. 



Nascono così i latto-ovo-vegetariani. Ma voi ve l’immaginate questi in una conversazione a tavola?

- Scusa, questo non lo mangio
- Non ti piace?
- No, è che sono LATTO-OVO-VEGETARIANO

Cioè… io gli scoppierei a ridere in faccia già solo per come si pronuncia… Non abbiatela a male. Odiatemi, tempestatemi di messaggi minatori ma proprio questo non si può sentire: LATTO-OVO-VEGETARIANO…!A questo punto, aperta una maglia, cominciamo con le deroghe e con le sanatorie. Come con le verande, i casotti, le superfetazioni e le tettoie. E così nascono i “pescetariani” che ammettono il pesce e i “pollotariani”che ammettono il pollo e le carni bianche oltre che quelle degli uccelli in genere, senza sapere che, ad esempio, il piccione è una carne rossa.


Ma vogliamo parlarne? Dopo aver fatto tanta fatica per diventare vegetariano si ammette questo e quello? Tanto vale continuare guardare con amore culinario un bel vitellino, fare l’amore gustativo con un prosciutto arrosto, immergersi in un orgasmo olfattivo di una grigliata di stigliole (interiora di agnello condite, tipiche palermitane). A parte che pescetariano e pollotariano fa impallidire i latto-ovo-vegetariani come generatori di risate sbattute in faccia:

- No, scusi, questo no…
- ah, è forse vegetariano?
- no, non vegetariano, pescetariano (o pollotariano)

Starei a ridere davvero un quarto d’ora

C’è però un poi. Il poi è rappresentato dai vegani. Un oltre, un “beyond”, una sublimazione del vegetarianesimo. Mangiano esclusivamente vegetali. E basta. Ok, ci sono le varie soie, tofu (che sempre soia è), seitan (che sempre soia è), semi e legumi di origine arcana tipo il miglio (che da piccolo lo ricordo come il mangime che davano a Titti di gatto Silvestro), la quinoa… 



Certo, legumi ad alto contenuto proteico, ma anche proteine non nobilissime. Si sopravvive, certo, si può. Anche se ultimi fatti di cronaca suggeriscono, ad esempio, che ad un bambino è meglio somministrare proteine animali durante la crescita. O anche – guardate in rete – che alle donne il ciclo può sfasare un pochettino... Ma sì… però salvo il pianeta, non mi viene più il cancro, e la seconda domenica di Giugno dopo la mia morte ascenderò anche in cielo.
E ovviamente, da vegani, dimentichiamoci il 97,9% dei dolci perché, lo sappiamo, si usano uova, latte o suoi derivati. Certo, vedo ricette in rete: torta senza uova, senza latte, senza burro… cos’è: pane zuccherato? O il tiramisù senza mascarpone… si fa con la panna vegetale. A parte che il tiramisù richiede espressamente il mascarpone e non la panna, provate a mangiarlo in versione vegan…



E anche qui… a tavola… (tratto da una storia vera):

- Prendine un po’
- Ma cos’è?
- Parmigiana di melenzane
- ma ci hai messo il parmigiano?
- Beh, sì – risposta piena di sensi di colpa – sei forse intollerante… - e se fosse questo il caso, per carità, niente da dire alle scelte alimentari
Noooo! – dice invece i-nor-ri-di- to – assolutamente no! IO (pausa) sono (pausa) VEGANO (mento alto e sguardo verso l’infinito). Come a dire, io vegano, tu un misero verme inferiore e arretrato che della vita non hai capito un cazzo.



Vegano… di Vega (mi ricorda molto Goldrake, il mio cartone animato preferito quando ero piccolo)? Ti dà una mano, come il metano? Non so, un altro nome poco serio, specie nella versione inglese: vegan. Sembra il nome di una pornodiva degli anni ’80. Che poi una pornostar, Silvia Bianco, ha davvero partecipato a uno spot per vegani…
Perché poi, a proposito di pornodive, ‘sti vegani hanno una specie di “invidia del pene”. Non mangio certe cose ma le faccio uguali. La crostata, lo spezzatino, il würstel, persino la frittata… ma in versione vegana: se proprio devi cambiare, creati le tue pietanze, senza rivangare il passato, no?


<SEGUE>

giovedì 17 settembre 2015

Frasi (più o meno) celebri

No, non si tratta di commenti su locuzioni stracotte che si leggono su Facebook e amorevolmente riproposte dai nostri (vostri) amici (?) tele(proble)matici. Per quelle c’è ancora tempo. Voglio parlare di certe frasette ipocrite che ogni tanto entrano nelle nostre conversazioni quotidiane, senza dare nell’occhio, e poi non ci abbandonano, rimangono dentro e le trasmettiamo alle generazioni future che così crescono, si riproducono e si moltiplicano, già inquinate dal male fin nel midollo.
E sì, le odiamo, ne siamo disgustati, vomitiamo mentre il nostro interlocutore le pronuncia ma poi siamo i primi a dirle a nostra volta, peggio dell’influenza, del tesssoro, dell’Unico Anello! Parliamone quindi, per imparare a combatterle e a tenerle lontane dalla nostra mente.



(NOTA: L’Unico Anello è, nella saga del Signore degli Anelli, quello che Sauron forgia per gabbare Elfi – tre anelli – Nani – sette anelli – e uomini – nove anelli – piegando tutto il loro potere al quel solo anello. L’Unico. Tesssoro è il modo caratteristico in cui Gollum, un umano consumato dal potere distruttivo dell’anello, chiama il manufatto magico. Mi dedicherò in un altro post agli spocchiosi intellettualoidi irriducibili che “certe cose non le leggono”.).
Ma torniamo a noi. Non voglio parlare adesso di tutte le frasi celebri che mi vengono in mente (anzi, se me ne suggerite…). Lo farò nel tempo. Oggi comincio da una che sento dire spesso. Troppo spesso.

Modello tipo: sono grassa… eppure non mangio niente, non vedi?

Varianti: è costituzione, ho le ossa grandi/pesanti




Ho usato il femminile perché in genere sono le donne le più ossessionate dal peso. Le vedi lì a pesarsi ogni 6 ore, stando attente a togliersi ogni indumento, braccialetti dal peso inesistente, l’elastico dei capelli, gli orecchini e magari pure il tampax… per superare la grande prova. Inutile dire che basta pesarsi una volta al giorno (sempre alla stessa ora) o, meglio, ogni due o tre.
No. Nude, occhio trepidante, il corpo inclinato dal lato della bilancia che loro sanno essere quello che fa pendere il risultato a loro favore. Il display che ballonzola un po’ finché gli ultimi lampeggi, quelli definitivi. Il peso è stabilizzato: due etti in più.



Tragedia. Frustrazione. Furore. È il classico momento in cui si esce a comprare il costume di una taglia più piccola (vedi post precedenti). Ma è anche il momento in cui si cerca il conforto della (presunta tale) amica del cuore. E dopo i convenevoli, scatta il suo “che hai?” e lì: “sono ingrassata, ma non mangio nulla”. E piripìm e parapàm. L’amica di solito annuisce in silenzio per alcuni motivi, tra i quali:

a) sono felice che tu abbia preso peso (e io no)

b) non sono particolarmente interessata a una lunga discussione sull’argomento

c) ho 14 notifiche di whatsapp di uno e devo decidere se dargliela o meno

d) non sono la tua migliore amica, per carità!!



e) le notifiche sono ora 18

f) ma glielo devo dire che certamente è una ritenzione idrica premestruale? Naaa…

g) le notifiche sono 21

h) cazzo, ma davvero non hai capito che non sono la tua migliore amica?

Sì, va bene, alcune volte è ritenzione idrica. Ci sono anche casi di cattivo funzionamento della tiroide. Ma in realtà spesso, molto ma molto più spesso, è altro. Pura Ciccia. Grasso. Adipe. Rotolini che crescono settimana dopo settimana, etto dopo etto. Ma come mai (si chiede la fanciulla)? Io (lacrimuccia) non mangio (due lacrimucce) nulla… (tre lacrimucce)!

Facciamo un po’ il punto della situazione. Il nostro corpo funziona proprio come il resto dell’universo, obbedisce a leggi della fisica che si chiamano principi della termodinamica che come altre teorie scientifiche (ci dice Popper) sono valide finché non verrà dimostrato il contrario (si definisce questo falsificazionismo). Li daremo quindi per buoni a meno che qualcuno di voi non pensi di potere vincere un Nobel.

Il primo principio (sono in totale quattro: 0, 1, 2, 3) è quello noto come principio di conservazione dell’energia. E il cibo (grassi, carboidrati, proteine) è assimilabile a energia che immettiamo nel nostro organismo. Se immettiamo meno di quello che usiamo, attingiamo a riserve. Se immettiamo di più, l’energia non evapora nel nulla, creiamo riserve. Senza entrare in delicati processi metabolici e termini tecnici, queste riserve di lungo termine si chiamano LARDO!!




Quindi, mia cara, se vedi le tue cosce lievitare, il tuo sedere lottare a morte con l’elastico delle mutande (che dopo il secondo o terzo lavaggio in genere soccombe), il tuo reggiseno lasciarti solchi quasi indelebili sulla schiena… vuol dire che stai immettendo più energia di quanto ti serve e il resto… non si perde, ma si trasforma. In soffice cellulite.

Ma ci fa simpatia questa ragazza, no? Sì, ci fa simpatia. E ce ne fa ancora di più quando la vediamo nel suo vestitino attillato da aperitivo, che non sarebbe corto fino a un terzo della coscia, ma solo fin sopra il ginocchio, il fatto è che “la larghezza si prende la lunghezza” come diceva mia nonna quando cuciva qualcosa.



E ci fa ancora più simpatia quando vedi i suoi occhietti appuntiti da topolino che seguono bramosi la forchetta da dolce che dalla torta al cioccolato vanno alla tua bocca. E tu gliela offri e lei ti risponde: “No”. Che poi è: No, stronzo, insensibile, figlio di…”.



Ma quando lei aggiunge “…sono a dieta, lo vedi, non mangio nulla e sono così, pensa se mangiassi la torta…”, allora in quel momento tutta la benevolenza e sopportazione educate da anni di catechismo cattolico contagiati da filosofie orientali, meditazione, volontariato, sopportazione dei vicini, raccolta differenziata impeccabile e pagamento regolare di tasse e tributi svaniscono in un istante.
Vorresti dirle, a questo punto: “niente!?” Ma come niente? Ti vedo mangiucchiare a tutte le ore cornetti, gelatini, tè e biscotti, cioccolato, noccioline davanti alla TV, tre cocktails (valgono circa quanto un piatto di pasta), patatine… Niente!? Niente solo perché a pranzo e a cena nel piatto vedo tre carote e una foglia di insalata?



Lo stesso quando ti dicono: ho le ossa pesanti. Sì, e il cervello leggero, direi! Che vuol dire che hai le ossa pesanti, o grosse? Oppure “è costituzione”. Macché. Una macedonia di cazzate.
Mangi e mangi e mangi che nemmeno te ne rendi conto. “Ho la pressione bassa…”. Ma quali minchiate? Pressione bassa=cibo? Ingurgitare senza ritegno barrette, granite, brioches, “nutrienti” milkshake da fastfood… Ti prego!

E non ti muovi! Ferma impiccata sopra una sedia o inglobata in un divano. Nemmeno cammini. Entrano 100 e spendi 90, 80, 70 e la taglia aumenta. Il primo principio della termodinamica non perdona. Peggio della tua famosa migliore amica. Allora, mangia meno (e meglio), muoviti di più e soprattutto: STUDIA LA FISICA!!


E non rompere con i tuoi ipocriti piagnistei da mangiatrice compulsiva, a chi deve rispondere a importanti notifiche di whatsapp per decidere se “dargliela o meno”.