domenica 27 settembre 2015

Light, zero, normale

Sì, stavolta l’intuizione è corretta. Parleremo della bibita più conosciuta, amata, odiata, usata diffusa, abusata che conosciamo. Non la menziono in esplicito perché non conosco la legislazione in merito, ma dopo che una poveraccia si è beccata una denuncia da parte della Ferrero per avere usato in modo “improprio” il nome di un suo “notissimo prodotto (“quel prodotto”) se permettete mi proteggo le natiche.



Bene, Tutto nasce alla fine del XIX secolo quando un farmacista (foto) la creò. Pensate che anche la nota salsa ketchup nasce come sperimentazioni farmacologiche… insomma, magari fra cinquanta anni i nostri pronipoti mangeranno bistecche (di vitello o di soia, vedi post precedenti qui e qui) condite con Betotal e innaffiate da un bel Bisolvon d’annata. Chissà…

Nel frattempo, abbiamo a che fare con queste benedette bevande a base di cola. Anzi, più precisamente, a base di noce di cola (foto), un genere di piante comprendenti varie specie. La noce di cola conferisce il classico aroma alla bevanda oltre a dotarla di ingenti quantità di caffeina, naturalmente contenuta in essa.



Sfatiamo quindi il primo mito: nella bevanda suddetta non viene aggiunto caffè. Nemmeno per colorarla. Si utilizza un colorante (diciamo) innocuo che è il caramello.

Ma andiamo alle informazioni nutrizionali. O forse sarebbe meglio dire malnutrizionali. E sì, perché quando in una giornata di piena estate, quando le goccioline di sudore si formano sulla nostra schiena e poi cominciano a scivolare verso la zona lombare, e noi abbiamo messo erroneamente una camicia con le maniche lunghe, arrotolate, magari nera… Ecco, in quel momento appare un bar e il nostro pensiero va immediatamente alla pubblicità di questi bicchieri pieni di ghiaccio, con questo liquido ambrato dentro, il tintinnio, la bocca che si avvicina il “aaah” finale. Scontrino fatto e bottiglia da 500 ml comprata. Bene, miei cari, in quel momento state facendo vari tipi di danni.

No, non state favorendo l’osteporosi per via dell’acido ortofosforico contenuto che soubilizza le vostre ossa nel sangue (suvvia! Non avrete mica creduto alle cavolate che scrivono in rete!) né l’ulcera (il pH presente nello stomaco è molto più basso di quello della bibita). Se così fosse, avremmo tutti le ossa rotte e le mucose di bocca ed esofago completamente corrose visto che non sono “progettate” per resistere a pH inferiori a quelli dello stomaco. Questo per dirvi di stare sempre attenti alle mille cazzate che si leggono qua e là.

Sì, certo, con la XXX si possono sturare i bagni e i lavandini. In quel caso il pH è sufficiente per attaccare incrostazioni  (tipicamente a base di calcare e magnesite) ma a parte questa “magia”, la XXX è innocua da questo punto di vista.



Da questo punto di vista… ma non da altri. Se andiamo a leggere le informazioni nutrizionali, notiamo che essenzialmente domina un solo macronutriente e cioè i glucidi. Si legge, infatti che i carboidrati sono circa 10.0 g per 100 ml, di cui zuccheri circa 9.2-9.3 g (il resto sono amidi, altri carboidrati, più complessi). Ebbene, in 500 ml vi sono quindi circa 50.0 g di carboidrati, corrispondenti a quelli contenuti in 70-80 g di pasta (dipende il tipo).



Sì, strabuzzate pure gli occhi. Questa è la realtà. E non solo. Mentre i 50.0 g di carboidrati della pasta vengono assorbiti con maggiore lentezza, quelli della bevanda sono assorbiti immediatamente stimolando uno sbalzo glicemico che induce produzione di insulina che provoca poi un abbassamento della glicemia generando senso di fame… creando un circolo vizioso.

Sì, ok, la XXX non è necessaria. I nutrizionisti ci dicono di bere acqua naturale. O tè. Verde. Quello nero (molto più buono… secondo me) non va bene, potrebbe infiammare il colon (Per semplificare: se ti piace fa male o non fa bene). Ma i nutrizionisti ci dicono molte cose che alla lunga possono indurre una persona equilibrata verso il suicidio. Poco sale, limitare il pepe, l’aceto (l’aceto!? Ma che colpa ha?), il pomodoro ok ma può formare ossalati di calcio e quindi calcoli, niente fritture (ce l’hanno tutti con le patatine), poca carne rossa, frutta sì, ma non troppa perché sempre zuccheri sono, alcolici giammai… Ma che palle…!



Sì, beviamocela sta XXX ogni tanto, e anche più di ogni tanto, ma almeno scegliamo una versione senza zuccheri. Da noi in Italia ce ne sono due tipi, con dolcificanti sintetici. In altri paesi ne vendono altre con dolcificanti naturali. Costano magari di più ma ne vale la pena.

Ma andiamo alla cena con amici. Lasciamo stare situazioni complicate. Mettiamo semplicemente pizza, patatine, e poi caffè (vedi post precedenti qui, qui e qui).

La pizza e le patatine insieme sono una specie di una Caporetto dei carboidrati. Aggiungiamoci anche un po’ di ketchup. Che purtroppo molti si ostinano a chiamare “il” quando a mio parere dovrebbe essere “la” dato che è una salsa (femmina). Come “il” cheesecake è una torta quindi è femmina pure lei. Va beh…



Ma abbiamo mangiato la pizza, le patatine, abbiamo anche aggiunto ketchup (togliamo l’articolo così non stuzzichiamo nessuno). Siamo pure stati sfortunati, perché la pizzeria non aveva “il comodo formato da 0.5 l” (cit.). 33 cl di una lattina sono pochi, abbiamo preso due lattine per un totale di 660 ml di bevanda. Cioè abbiamo aggiunto altri 66 g di carboidrati circa. 90 g di pasta! Ma qui entra in gioco il bullismo da tavola:

- e certo… lui si prende la zero perché deve dimagrire

A parte che saranno anche cazzi miei quello che voglio e non voglio bere, ma anche se fosse? Visto che ho mangiato due maiali ne devo mangiare un terzo? Visto che ho speso 100 euro va bene, spendiamone altri 50? Visto che ti ho sopportato due ore allora ti sopporto per una terza?
C’è invece quello che si preoccupa per te:

- eeeh, ma in quella “tua” c’è aspartame, fa venire il cancro al cervello

Mi tocco… ovvio. Si tratta di studi non ancora confermati e, soprattutto, esistono molte alternative ugualmente economiche all’aspartame, perché i produttori dovrebbero volere la morte dei propri clienti? Certo è invece il meccanismo della risposta insulinica che, alla lunga, porta inesorabilmente allo sviluppo del diabete.


Infine, meglio acqua naturale, patate lesse, salmone al vapore senza sale e insalata scondita. Ma che palle. Viveteci voi così! Io sconfiggo arsura e calore con la mia amata bibita. Senza zucchero.

Frasi Celebri: Deianira

A chi non è capitato di essere invitato a casa di amici ed essere accolti da una padrona di casa che prima ancora che il rimbombo della chiusura della porta dell’ascensore si spegnesse nella tromba delle scale ci dice:

- scuuuusa per il disordine ma oggi sono tornata taaaaardi e Faruk viene domani… - segue bacio con lo zigomo se no le si rovina il trucco

Cominciamo intanto a dire che “Faruk” è solitamente un tipo nerboruto, solitamente extracomunitario, da cui solitamente la nostra amica è segretamente attratta. Sì, perché “Faruk” sostituisce quella che lei fino a un paio di anni prima chiamava “la signora delle pulizie”. Sapeva benissimo che si chiamava Rosalia e veniva dalla (nobilissima) zona portuale di Palermo del Borgo Vecchio, ma non osava chiamarla per nome: Rosalia è “tascio” (volgare, per i non siciliani NdR). Faruk invece… beh, Faruk è Faruk!

- Non ti preoccupare Deianira -come possiamo pensare che si chiami una stronza come questa se non Deianira? – io sono messo peggio di te



Stronza perché appena varchiamo la soglia di casa, entriamo praticamente nell’Eden della pulizia, nell’iperuranio dell’ordine, nell’enciclopedia della brillantezza. Gli occhi cercano nella disperazione ragnatele nascoste, riverberi che rivelano ditate, specchi con tracce di aloni, angoli con nanogrammi di polvere. Nulla. Perfetta. La fottuta casa di quella stronza di Deianira è perfetta.



E il buio scende sul mio volto. Perché è vero oltre ogni possibile e immaginabile verità che la mia casa è messa peggio. Perché in quel momento ricordo le quattro ceste di panni da stirare spiaggiate sulla cassapanca, i piatti di tre pasti ammonticchiati nell’acquaio, gli schizzi della frittura puliti male dopo l’ultima scorpacciata di calamari, quell’angolino vicino al battiscopa che è così difficile da spazzare… E in me si genera un conflitto. Mi spacco. Perché Deianira è mia amica, ma scopro in quel preciso momento che mi è sempre stata un po’ sulle palle, non ero mai riuscito a capire forme e contorni di quella idiosincrasia, ma ora li riconosco improvvisamente: è una odiosa, spocchiosa, presuntuosa e tutte quelle brutte parole che però si possono dire (e scrivere NdR) in pubblico (e nei blog NdR) che finiscono in –osa.

La stronza di Deianira, peraltro, non ha finito. Siccome l’umiliazione è assolutamente dolosa, e anche premeditata, meritando il massimo della pena prevista, mi chiede anche di fermarmi a cena. Sono arrivato alle sei… alle sette e mezza mi inviti, mi fa piacere… e io:

- Ordiniamo delle pizze, ma solo se le offro io!

Deianira mi guarda con quegli occhi da Barbara D’Urso, la risata da Raffaella Carrà, la corporeità di Antonella Clerici e risponde:

- ma quali piiiizzeee – Deianira allunga tutte le vocali, fa gran donna – butto giù io due cosette, certo con quello che ho in casa, ma non permetto che in casa mia entri altro cibo all’infuori di un po’ di pane. Che non faccio io solo perché è tardi. – Odio

E mentre sei in cerca del panificio, pensi a cosa starà combinando: ti aspetti una spaghettata… una frittata… salumi e formaggi con del pane… roba semplice. Per stare insieme. Bussi, riattraversi la porta per entrare “nel regno del pulito” (cit.) e senti odori e aromi degni del ristorante di Cracco.

- Ma che fai?
- Un risottino, delle polpettine al sugo, un’insalata mista e poi per dessert dei tortini cuore caldo, ma non quelli tradizionali, quelli che faccio io: ne tengo sempre una scorta pronta per situazioni come questa…

E lì sopravviene la frustrazione, immediatamente vinta dall’odio più profondo. Ma come cavolo fa questa in mezz’ora? Deve avere tutto pronto. Non è possibile. E se così non fosse andrebbe uccisa e il corpo fatto scomparire. A parte che l’insalata mista… mica è lattuga pomodoro e carote. Abbiamo i cuori di palma, la granella di noci, la mela verde, l'avocado. Sì, Deianira ha imparato a farle tramite un corso di cucina. Perché lei “sa anche cucinare”.



Cazzo, Deiani’, non potevi avere pure i cuori di palma a casa… tu mi stai imbrogliando!
E poi il colpo di grazia.

- Volevo impastare degli gnocchi veloci veloci ma mi sono accorta che ho solo le patate viola… non avevo un sugo da abbinare, potrebbero venire male. Tu lo mangi il riso mi pare…

Le patate… viola!? Il sugo da abbinare!? Ma che è tipo una prova di Masterchef? Diciamo la verità, Deiani’, hai sbagliato ad afferrare la reticella quando hai architettato tutto questo contro di me. O magari Faruk, che a questo punto decreto che è il tuo amante fisso, è venuto stamattina, ti ha strapulito e stralucidato la casa, poi ti ha dato una ripassatina e ti ha fatto anche la spesa. Tu hai poi pure avuto il tempo di fare trucco e parrucco dalla tua estetista di fiducia.



Confessa!

- È che… voi uomini non sapete fare più cose insieme…

E qui cerco un machete per devastarla… ma poi mi ricordo di avere un blog e allora prendo questa ultima frase e la metto tra quelle che devo commentare. Decido che anziché uccidere Deianira è più sano dedicarle un post.


Ti amo Deianira. Fottiti Deianira.

giovedì 24 settembre 2015

Fondalimentalismo (2/2)

Seconda parte del nostro breve tour nelle diverse modalità di alimentarsi.

Abbiamo già parlato di alcuni regimi alimentari diversi da quello onnivoro, ma la perversione e l’autolesionismo non hanno confini. E il mondo generò quindi i FRUTTARIANI. Sono quelli che mangiano solo frutta. Pensavate che vi eravate salvati con le patatine fritte e un hamburger di soia. Orrore! Solo frutta. E soprattutto niente più patatine. 



E ovviamente nemmeno Nutella! E tra loro ci sono anche degli ulteriori fondamentalismi, tipo quelli che mangiano frutta sì, ma soltanto quella che non contiene semi e non è quindi destinata alla riproduzione (ucciderebbe vite) ovvero quelli (UDITE UDITE) che mangiano soltanto frutti caduti a terra per non fare del male all’albero strappandoli.

Come se dovessimo aspettare che le unghia o i capelli ci cadano da soli, senza tagliarli mai: ma che malattia mentale li affligge? E anche questi a tavola:

- scusa, non mi siedo a tavola perché sono fruttariano
- ti porto della frutta…
- mangio solo quella caduta per terra

E a quel punto vedi la padrona di casa che (dopo avere preparato una cena luculliana) prende le pere e le mele e le comincia a scaraventare sul parquet urlandogli contro: ora te le mangi, e dal pavimento per giunta!

Lateralmente a tutti i precedenti ci sono i crudisti. Costoro, a parte il fatto che evocano i nudisti per assonanza fonica, mangiano il cibo soltanto crudo. Ok il sushi, il carpaccio. Ma dimentichiamoci sempre le patatine fritte. Il pane. Dolci e creme. Ma anche il pollo: mangereste il pollo crudo? Chi ha risposto sì sappia che poi dovrà fronteggiare interessanti batteri come la Salmonella o, meglio ancora, il Campylobacter (più possibilmente tutta un’altra serie che qualcuno con solerzia sono certo mi indicherà). Auguri e buon mal di stomaco (nella migliore delle ipotesi). Ok, ci sono pure i crudisti vegan, mangiano solo vegetali e solamente crudi. Risparmio su bolletta di elettricità e gas.




A questo punto capirete che su 100 non onnivori, una enorme quantità possiede disturbi psichici di varia natura e tutti molto severi. Perché non ditemi che è normale imporsi una rieducazione, sentirsi in colpa per avere anche solo desiderato la salsiccia a pasquetta, sniffato una grigliata di pesce, desiderato il panettone (contiene uova, latte e burro) a Natale.

“Poi ti senti meglio”, ti dicono, “più calmo, più in armonia con l’universo”… sarà… il solo pensiero di una dieta ipocalorica TEMPORANEA mi mette il panico, figuriamoci sapere che A VITA non potrò mai più mangiare carne arrostita, gamberoni, pollo allo spiedo, fonduta e poi torte e creme… A VITA! Fine pena mai. Una specie di ergastolo alimentare. Di quelli che non si è beccato nemmeno il mostro di Foligno per avere ucciso due innocenti.




Però, tra queste varie sette alimentari, nuovo culto del cibo, deificazione del cetriolo, sublimazione della patata (così non scontento nessuno)… un plauso e il mio personale inchino va a dei grandi (ma davvero GRANDI!) che hanno fatto adepti (e soldi) dietro le loro religioni alimentari. Perché davanti a una massa di imbecilli c’è sempre una grande mente che li guida (riflettete anche su questo, mutatis mutandis).
E cominciamo con il reverendo Graham e la sua dieta EDENICA: qui potete mangiare solo come Adamo ed Eva e quindi niente spezie, tè, caffè, carne e condimenti (olio, burro, aceto…) . E alcol. Niente mojito, spritz, prosecchini e brindisi di fine anno. Il suicidio potete però tentarlo con una corda. Ma non sintetica, deve essere di canapa.



Segue il Dr. Cordain con la sua PALEODIETA, basata su come mangiavamo nel paleolitico (scavando scavando avranno magari trovato qualche ricettario) e “ovviamente” su cibi e ingredienti sapientemente venduti in appositi negozi (oggi anche online). Peccato che nel paleolitico l’età media pare fosse la metà di quella odierna… ma che importa?

C’è poi il signor (paraculo!) Rubin che ha teorizzato una dieta BIBLICA: come contraddirla? Se lo dice la Bibbia! Dobbiamo evitare le anguille (vedrai che perdita) ma anche i crostacei ( e va beh) e il maiale (tragedia!). In compenso possiamo fare abbuffata di locuste (!!) e bestiame che rumina.

Ma il mio idolo, signori miei, è la signora Greve, BRETHARIANA. I brethariani (che dal nome sembrerebbero proprio una popolazione aliena) sostengono di essere così in armonia con l’universo da non avere più bisogno di cibo in assoluto. Risparmiamo quindi su biscotti, carne, e latte, ma dobbiamo ovviamente seguire tutta una serie di seminari e corsi che ci portano verso questa catarsi. A pagamento, s’intende.




Furbi. I furbi ci sono sempre. I furbi sono ovunque. Sono dietro agli hamburger di soia a 70 euro al Kg, dietro la salsa di soia a 25 euro al litro, il seitan, il tofu, i legumi importati da chissà dove a peso d’oro… dietro seminari, pubblicazioni, ricette, siti… rendendo tali diete – ed è questo che anche mi fa apparire odioso tutto questo sistema –dei regimi alimentari per ricchi. Che poi sono anche spocchiosi nei confronti di chi fa la spesa negli hard discount o mangia la prima cosa che capita. Non ce ne saranno fra voi, ma costoro le loro filosofie alimentari dovrebbero mettersele proprio lì.

Chiudo con un ultima classe, quella dei locavori. Chi sono? Sono quelli che mangiano soltanto roba prodotta vicino al luogo in cui abitano. Qui noi ci andiamo un po’ fottuti perché negli US la distanza limite è 100 miglia (160,9 km), da noi 100 km… Pare che alcuni presi dal panico stiano pensando di vendere i loro averi per trasferirsi nel raggio della cittadina che produce salumi, formaggi e verdure preferite…

Ultima iniziativa sembra essere quella dei vegani, alcuni dei quali vedo il rapporto con la carne come una crociata contro gli onnivori che sono da catechizzare e convincere. Peggio dei Testimoni di Geova. Vi parlerò dell’uscita a due con un vegano in un prossimo post. Un’esperienza. Vi dico subito che parebbe essere in piedi l’idea di fare un Vegan –pride. Sarebbe una cazzata che potrebbe essere seconda solo al gay pride. Perché, lo ricordo, pride vuol dire orgoglioso. E non si deve essere orgogliosi proprio di nulla, ognuno è come è: gay, etero, onnivori, vegani, fruttariani e compagnia.


E adesso andatemi tutti addosso ma ricordatevi: voi siete vegani, io no. Voi non potete mangiare me, ma io voi sì. Ricordandoci tutti, che ogni eccesso è dannoso e l’equilibrio fa bene sempre e ad ogni livello.

domenica 20 settembre 2015

Fondalimentalismo (1/2)

Non è un refuso, il titolo è proprio quello: fondalimentalismo. Ovvero il fondamentalismo alimentare. E sì, perché mentre qualche secolo fa ci si batteva anche fino alla morte solo per religione o patriottismo, oggi la guerra i fa anche sull’alimentazione: vegetariani, vegani (che sono molto diversi e si offendono se li chiamate vegetariani), locavori, crudisti, edenisti… la perversione umana – permettetemi!! – ha invaso anche una delle cose più piacevoli della nostra vita e cioè il cibo!



Potremmo parlare parecchio di quelle che per me sono assurdità (odio ogni forma di esagerazione ed estremismo), ma qui mi limiterò ad un paio di osservazioni. Sono certo che:

a) alcuni di voi mi toglieranno il saluto (e già sono pochi…)
b) perderò amici di facebook (chìssene)
c) molti non conoscono tutte le (folli e perverse) varianti alimentari che vi proporrò
d) combatterò sempre ogni forma di esagerazione, i vostri commenti non potranno farmi indietreggiare
(Nota: se troverete un “NR” ad un commento vorrà dire che l’ho letto ma che preferisco non rispondere. Evito polemiche.)

Da piccoli si mangiava tutto senza troppi problemi. Possiamo dire che tutti noi eravamo onnivori. Carne, pesce, latte, uova, formaggi, frutta, verdura… quella che si chiama una dieta sana ed equilibrata. Sì, certo, c’erano gli asceti, il Dalai Lama, Ghandi. 



Ma parliamo di personaggioni, non di noi comuni abitanti del pianeta. Posto che la grandezza del personaggio potesse essere correlata al fatto che mangiava solo bacche e radici (parliamone).
Ma poi si diffuse il vegetarianesimo su larga scala. “Mangio tutto ma non carne e pesce” (però magari la pastina col dado me la fai che ho il raffreddore?). Poi arrivò qualcuno e disse: e le uova? Potrebbero diventare pulcini. E il latte? È un derivato animale. Zero latte quindi, e zero formaggi (pensate a essere condannati a vita a mangiare la pizza senza mozzarella). E il miele? Anche il miele, derivato animale… Va bene, però qualche proteina animale la devo mangiare… e allora qualche “deroga” la mettiamo. E allora (scommetto che c’è lo zampino di qualche italiano) diciamo che siamo vegetariani, ma latte e uova e miele sì. 



Nascono così i latto-ovo-vegetariani. Ma voi ve l’immaginate questi in una conversazione a tavola?

- Scusa, questo non lo mangio
- Non ti piace?
- No, è che sono LATTO-OVO-VEGETARIANO

Cioè… io gli scoppierei a ridere in faccia già solo per come si pronuncia… Non abbiatela a male. Odiatemi, tempestatemi di messaggi minatori ma proprio questo non si può sentire: LATTO-OVO-VEGETARIANO…!A questo punto, aperta una maglia, cominciamo con le deroghe e con le sanatorie. Come con le verande, i casotti, le superfetazioni e le tettoie. E così nascono i “pescetariani” che ammettono il pesce e i “pollotariani”che ammettono il pollo e le carni bianche oltre che quelle degli uccelli in genere, senza sapere che, ad esempio, il piccione è una carne rossa.


Ma vogliamo parlarne? Dopo aver fatto tanta fatica per diventare vegetariano si ammette questo e quello? Tanto vale continuare guardare con amore culinario un bel vitellino, fare l’amore gustativo con un prosciutto arrosto, immergersi in un orgasmo olfattivo di una grigliata di stigliole (interiora di agnello condite, tipiche palermitane). A parte che pescetariano e pollotariano fa impallidire i latto-ovo-vegetariani come generatori di risate sbattute in faccia:

- No, scusi, questo no…
- ah, è forse vegetariano?
- no, non vegetariano, pescetariano (o pollotariano)

Starei a ridere davvero un quarto d’ora

C’è però un poi. Il poi è rappresentato dai vegani. Un oltre, un “beyond”, una sublimazione del vegetarianesimo. Mangiano esclusivamente vegetali. E basta. Ok, ci sono le varie soie, tofu (che sempre soia è), seitan (che sempre soia è), semi e legumi di origine arcana tipo il miglio (che da piccolo lo ricordo come il mangime che davano a Titti di gatto Silvestro), la quinoa… 



Certo, legumi ad alto contenuto proteico, ma anche proteine non nobilissime. Si sopravvive, certo, si può. Anche se ultimi fatti di cronaca suggeriscono, ad esempio, che ad un bambino è meglio somministrare proteine animali durante la crescita. O anche – guardate in rete – che alle donne il ciclo può sfasare un pochettino... Ma sì… però salvo il pianeta, non mi viene più il cancro, e la seconda domenica di Giugno dopo la mia morte ascenderò anche in cielo.
E ovviamente, da vegani, dimentichiamoci il 97,9% dei dolci perché, lo sappiamo, si usano uova, latte o suoi derivati. Certo, vedo ricette in rete: torta senza uova, senza latte, senza burro… cos’è: pane zuccherato? O il tiramisù senza mascarpone… si fa con la panna vegetale. A parte che il tiramisù richiede espressamente il mascarpone e non la panna, provate a mangiarlo in versione vegan…



E anche qui… a tavola… (tratto da una storia vera):

- Prendine un po’
- Ma cos’è?
- Parmigiana di melenzane
- ma ci hai messo il parmigiano?
- Beh, sì – risposta piena di sensi di colpa – sei forse intollerante… - e se fosse questo il caso, per carità, niente da dire alle scelte alimentari
Noooo! – dice invece i-nor-ri-di- to – assolutamente no! IO (pausa) sono (pausa) VEGANO (mento alto e sguardo verso l’infinito). Come a dire, io vegano, tu un misero verme inferiore e arretrato che della vita non hai capito un cazzo.



Vegano… di Vega (mi ricorda molto Goldrake, il mio cartone animato preferito quando ero piccolo)? Ti dà una mano, come il metano? Non so, un altro nome poco serio, specie nella versione inglese: vegan. Sembra il nome di una pornodiva degli anni ’80. Che poi una pornostar, Silvia Bianco, ha davvero partecipato a uno spot per vegani…
Perché poi, a proposito di pornodive, ‘sti vegani hanno una specie di “invidia del pene”. Non mangio certe cose ma le faccio uguali. La crostata, lo spezzatino, il würstel, persino la frittata… ma in versione vegana: se proprio devi cambiare, creati le tue pietanze, senza rivangare il passato, no?


<SEGUE>

giovedì 17 settembre 2015

Frasi (più o meno) celebri

No, non si tratta di commenti su locuzioni stracotte che si leggono su Facebook e amorevolmente riproposte dai nostri (vostri) amici (?) tele(proble)matici. Per quelle c’è ancora tempo. Voglio parlare di certe frasette ipocrite che ogni tanto entrano nelle nostre conversazioni quotidiane, senza dare nell’occhio, e poi non ci abbandonano, rimangono dentro e le trasmettiamo alle generazioni future che così crescono, si riproducono e si moltiplicano, già inquinate dal male fin nel midollo.
E sì, le odiamo, ne siamo disgustati, vomitiamo mentre il nostro interlocutore le pronuncia ma poi siamo i primi a dirle a nostra volta, peggio dell’influenza, del tesssoro, dell’Unico Anello! Parliamone quindi, per imparare a combatterle e a tenerle lontane dalla nostra mente.



(NOTA: L’Unico Anello è, nella saga del Signore degli Anelli, quello che Sauron forgia per gabbare Elfi – tre anelli – Nani – sette anelli – e uomini – nove anelli – piegando tutto il loro potere al quel solo anello. L’Unico. Tesssoro è il modo caratteristico in cui Gollum, un umano consumato dal potere distruttivo dell’anello, chiama il manufatto magico. Mi dedicherò in un altro post agli spocchiosi intellettualoidi irriducibili che “certe cose non le leggono”.).
Ma torniamo a noi. Non voglio parlare adesso di tutte le frasi celebri che mi vengono in mente (anzi, se me ne suggerite…). Lo farò nel tempo. Oggi comincio da una che sento dire spesso. Troppo spesso.

Modello tipo: sono grassa… eppure non mangio niente, non vedi?

Varianti: è costituzione, ho le ossa grandi/pesanti




Ho usato il femminile perché in genere sono le donne le più ossessionate dal peso. Le vedi lì a pesarsi ogni 6 ore, stando attente a togliersi ogni indumento, braccialetti dal peso inesistente, l’elastico dei capelli, gli orecchini e magari pure il tampax… per superare la grande prova. Inutile dire che basta pesarsi una volta al giorno (sempre alla stessa ora) o, meglio, ogni due o tre.
No. Nude, occhio trepidante, il corpo inclinato dal lato della bilancia che loro sanno essere quello che fa pendere il risultato a loro favore. Il display che ballonzola un po’ finché gli ultimi lampeggi, quelli definitivi. Il peso è stabilizzato: due etti in più.



Tragedia. Frustrazione. Furore. È il classico momento in cui si esce a comprare il costume di una taglia più piccola (vedi post precedenti). Ma è anche il momento in cui si cerca il conforto della (presunta tale) amica del cuore. E dopo i convenevoli, scatta il suo “che hai?” e lì: “sono ingrassata, ma non mangio nulla”. E piripìm e parapàm. L’amica di solito annuisce in silenzio per alcuni motivi, tra i quali:

a) sono felice che tu abbia preso peso (e io no)

b) non sono particolarmente interessata a una lunga discussione sull’argomento

c) ho 14 notifiche di whatsapp di uno e devo decidere se dargliela o meno

d) non sono la tua migliore amica, per carità!!



e) le notifiche sono ora 18

f) ma glielo devo dire che certamente è una ritenzione idrica premestruale? Naaa…

g) le notifiche sono 21

h) cazzo, ma davvero non hai capito che non sono la tua migliore amica?

Sì, va bene, alcune volte è ritenzione idrica. Ci sono anche casi di cattivo funzionamento della tiroide. Ma in realtà spesso, molto ma molto più spesso, è altro. Pura Ciccia. Grasso. Adipe. Rotolini che crescono settimana dopo settimana, etto dopo etto. Ma come mai (si chiede la fanciulla)? Io (lacrimuccia) non mangio (due lacrimucce) nulla… (tre lacrimucce)!

Facciamo un po’ il punto della situazione. Il nostro corpo funziona proprio come il resto dell’universo, obbedisce a leggi della fisica che si chiamano principi della termodinamica che come altre teorie scientifiche (ci dice Popper) sono valide finché non verrà dimostrato il contrario (si definisce questo falsificazionismo). Li daremo quindi per buoni a meno che qualcuno di voi non pensi di potere vincere un Nobel.

Il primo principio (sono in totale quattro: 0, 1, 2, 3) è quello noto come principio di conservazione dell’energia. E il cibo (grassi, carboidrati, proteine) è assimilabile a energia che immettiamo nel nostro organismo. Se immettiamo meno di quello che usiamo, attingiamo a riserve. Se immettiamo di più, l’energia non evapora nel nulla, creiamo riserve. Senza entrare in delicati processi metabolici e termini tecnici, queste riserve di lungo termine si chiamano LARDO!!




Quindi, mia cara, se vedi le tue cosce lievitare, il tuo sedere lottare a morte con l’elastico delle mutande (che dopo il secondo o terzo lavaggio in genere soccombe), il tuo reggiseno lasciarti solchi quasi indelebili sulla schiena… vuol dire che stai immettendo più energia di quanto ti serve e il resto… non si perde, ma si trasforma. In soffice cellulite.

Ma ci fa simpatia questa ragazza, no? Sì, ci fa simpatia. E ce ne fa ancora di più quando la vediamo nel suo vestitino attillato da aperitivo, che non sarebbe corto fino a un terzo della coscia, ma solo fin sopra il ginocchio, il fatto è che “la larghezza si prende la lunghezza” come diceva mia nonna quando cuciva qualcosa.



E ci fa ancora più simpatia quando vedi i suoi occhietti appuntiti da topolino che seguono bramosi la forchetta da dolce che dalla torta al cioccolato vanno alla tua bocca. E tu gliela offri e lei ti risponde: “No”. Che poi è: No, stronzo, insensibile, figlio di…”.



Ma quando lei aggiunge “…sono a dieta, lo vedi, non mangio nulla e sono così, pensa se mangiassi la torta…”, allora in quel momento tutta la benevolenza e sopportazione educate da anni di catechismo cattolico contagiati da filosofie orientali, meditazione, volontariato, sopportazione dei vicini, raccolta differenziata impeccabile e pagamento regolare di tasse e tributi svaniscono in un istante.
Vorresti dirle, a questo punto: “niente!?” Ma come niente? Ti vedo mangiucchiare a tutte le ore cornetti, gelatini, tè e biscotti, cioccolato, noccioline davanti alla TV, tre cocktails (valgono circa quanto un piatto di pasta), patatine… Niente!? Niente solo perché a pranzo e a cena nel piatto vedo tre carote e una foglia di insalata?



Lo stesso quando ti dicono: ho le ossa pesanti. Sì, e il cervello leggero, direi! Che vuol dire che hai le ossa pesanti, o grosse? Oppure “è costituzione”. Macché. Una macedonia di cazzate.
Mangi e mangi e mangi che nemmeno te ne rendi conto. “Ho la pressione bassa…”. Ma quali minchiate? Pressione bassa=cibo? Ingurgitare senza ritegno barrette, granite, brioches, “nutrienti” milkshake da fastfood… Ti prego!

E non ti muovi! Ferma impiccata sopra una sedia o inglobata in un divano. Nemmeno cammini. Entrano 100 e spendi 90, 80, 70 e la taglia aumenta. Il primo principio della termodinamica non perdona. Peggio della tua famosa migliore amica. Allora, mangia meno (e meglio), muoviti di più e soprattutto: STUDIA LA FISICA!!


E non rompere con i tuoi ipocriti piagnistei da mangiatrice compulsiva, a chi deve rispondere a importanti notifiche di whatsapp per decidere se “dargliela o meno”.

domenica 13 settembre 2015

In cerca di...

Dopo alcuni benevoli commenti sulla femminilità da spiaggia (vi assicuro, quelli erano benevoli), è il momento di passare a commentare il sesso forte. In realtà i maschi sono più noiosi delle femmine perché i loro tipi di abbigliamento da mare sono abbastanza standard e sostanzialmente tre: slip, boxer e una via di mezzo tra i due, denominata “parigamba”, che molti erroneamente scrivono e pronunciano “perigamba”. Potremmo disquisire dieci o quindici righe sulla inutile etimologia di questo ultimo termine, così come i pantacollant, i pantapalazzo (palazzo ‘dde ché?) pantajazz (jazz…!?). Non lo farò, almeno non adesso. Capite bene che questo argomento è troppo succulento per esaurirlo in due righe.

Ma torniamo ai tre costumi standard:

Slip. Nasce di un unico colore, solitamente nero, poi si evolve in varie tonalità, fantasie, disegni che mettono in risalto… quello davanti o… quello dietro. Il pacco o il sedere, insomma. Sono più a mutanda, a vita bassa, sgambati o meno. Il maschio medio tende a sceglierli con una cucitura sul davanti perché se no… lo fa piccolo (sempre il pacco). Se poi c'è una "conchiglia"... meglio ancora!



E sì, i nuotatori e tuffatori, quelli che indossano Speedo (marchio registrato) o altri costumi da competizione, avrete visto che non hanno “formosità” come i modelli di biancheria intima. Non è una categoria di minor habens, poverini, il loro “apparire” dipende molto dalla famigerata cucitura, mancante nei costumi sportivi e spesso inserita proprio ad arte. Un po’ come stecche e altre impalcature usate per valorizzare microtette femminili. 




Altra cosa che il maschio medio tende a fare è scegliere una misura non troppo “schiacciante”, stesso motivo. Ma neanche troppo grande, se no il povero pisellino sembra un guscio di noce che nuota nel’oceano: quante paranoie! Infine, il maschio medio che indossa costume slip ha una probabilità tre volte maggiore di stare lì a ravanarsi la sua roba per tenerla nella corretta posizione nonché per evitare che “l’effetto acqua fredda” ne riduca troppo il volume (parliamo sempre del pacco).


Boxer. Solitamente indossato da chi pensa di avere problemi di pancia, di pacco, di sedere, di lati A e B insieme, da chi pensa di essere così perfetto da potersi permettere qualsiasi tipo di costume, anche uno coprente, da chi non sopporta “costrizioni” di alcun tipo mentre si è al mare (come me; il boxer nero in figura è come il mio. Io non sono come il modello...). Morbido sulle cosce, la lunghezza varia da pochi centimetri sotto il cavallo fino al ginocchio. 



In questi ultimi casi la fantasia è spesso hawaiana e il tipo da spiaggia, dopo avere fatto il figone mettendosi questa specie di pigiama per farsi il bagno, si accorge che l’asciugatura richiede dalle due alle tre ore, con la salsedine che nel frattempo macera la pelle rendendola sottile come l’ostia del torrone. Allora cosa fa? “Avvolge” il surplus di tessuto incastrandolo sotto la mutandina retata contenitiva. Il risultato visivo è quello di un mega pannolone variopinto: raro esempio di come età mentale e abbigliamento coincidano. No, perché poi la sera all’aperitivo si vestono magari da 25-30enni pur mantenendo la stessa età mentale…



Inoltre, dato che la parte coperta è ovviamente meno abbronzata, si noteranno pure le sfumature di colore della pelle con e senza melanina: un uomo tutto da analizzare, insomma. E, a proposito di abbronzatura, ci sono poi quelli “vorrei-lo-slip-ma-non-posso” che si comprano il boxer per poi cercare disperatamente tutti i modi e le posizioni per scoprirsi, per fare arrivare il sole in posti improponibili, lì dove nemmeno uno con gli slip si sognerebbe mai. Una specie di Kamasutra dell’abbronzatura: gambe in posizione ginecologica, autosmutandature, proni e con i talloni uniti...



Non sanno, evidentemente, che si può fare un bagno solare integrale in spiagge dedicate o in centri estetici adeguati. E non sanno anche che, a meno che non siano pornodivi, non frega niente praticamente a nessuno se hai l’inguine colorato o meno. Ma diciamolo, forse non frega nemmeno per i pornodivi, dato che chi li guarda non credo si soffermi sull’abbronzatura…

P(e)arigamba. Voglio coprire, ma non fare vedere. Ti faccio intravedere il pacco e la sinuosità del sedere ma ti lascio anche qualche dubbio. Ho il sedere cascante, ma voglio mascherarlo, il pisello piccolo ma non te lo faccio capire… Il parigamba è l’indumento ideale per i mistificatori. Aderente e forse pure comodo per chi lo indossa, riesce anche a ingannare su pancia, afflosciamenti e cadute muscolari dovute all’età. 



Ma anche a esaltare i fisici tonici (che però preferiranno lo slip, fidatevi). Secondo le ultime statistiche, il 90% dei parigamba è di colore scuro, unica tinta. Da persone serie, insomma. O forse un po’ pallose, direte voi.
Il massimo della vita si raggiunge con quelli che fanno il bagno con i pantaloncini aderenti che si usano per la palestra o per la bici. Uso improprio di indumento: punito dal codice dell’eleganza spicciola.

Ci sarebbe un ultimo tipo di costume, quello di figura. Ma non mi sento abilitato al commento, credo che ci voglia uno psicologo con un paio di specializzazioni e due lustri di esperienza. Potete anche pensare che sono come la volpe e l'uva... e magari non vi sbagliereste nemmeno tanto.




Ma poi, alla fine, questi maschi sulla spiaggia, che fanno? Lo 0,7% va per godersi il mare e la natura. Il restante 99,3% (incluso – soprattutto? - quelli già fidanzati o sposati) va per abbordare (o farsi abbordare). Assieme quindi alle mandrie di femmine di cui al precedente post, vi sono infatti mandrie di maschi che solitamente si muovono in verso opposto. I maschi quindi sono in cerca… in cerca di femmine. O, come dice il palermitano medio di “fàmmine”. Li vedi fare finta di niente, parlare con l’amico accanto, ma puntano lo stuolo femminile in avvicinamento. Due metri dopo l’incrocio, cambiano improvvisamente argomento con la frase chiave:

- Minchia compa’…

E lì epitteti, aggettivi, valutazioni. Non sempre clementi in verità.




Ma anche le “fàmmine” non si trattengono. Loro però non hanno una frase per iniziare i commenti. In genere questi sono avviati da una risatina corale (che spesso è anche rumorosa, una scusa per far voltare i maschietti appena passati, con la più sfigata del gruppo che verifica se effettivamente lo hanno fatto). E anche in questo caso procedono ad una scansione corporea accurata, meglio che farsi una TAC. Ah, e non guardano quasi mai il pacco… con buona pace di costumi, taglie e cuciture.


In definitiva, lunghi, corti, fiorati, scuri, aderenti o laschi… questi pezzettini di cotone e lycra spesso non più pesanti di un etto garantiscono la continuità della razza umana. O, almeno, di quella palermitana. E non so fino a che punto sia un bene…

giovedì 10 settembre 2015

…a mostrar le chiappe chiare

L’estate 2015 è meteorologicamente finita il 31 Agosto scorso e finirà astronomicamente il prossimo 23 Settembre alle 10.20 ora locale (che fa figo dirlo) o 8.20 UTC (Universal Time Coordinated, che fa mooolto più figo). Quella termica durerà ancora un po’ più a lungo, forse fino alla seconda metà di Ottobre, guardando quello che è successo negli ultimi anni. I siti meteo pur di farsi cliccare annunciano la fine dell’estate già da giugno, ma ovviamente sono burle, almeno per noi qui a sud. Meteorologicamente parlando, una giornata si definisce estiva se la massima raggiunge i 25 °C: giudicate da soli quando finisce l’estate in Sicilia…



Ma andiamo a noi. Questo splendido clima che benedice la nostra terra, consente di godere di attività outdoor praticamente sempre. Tra queste, la prediletta è andare al mare. Già a Febbraio vedi che alla prima domenica di sole più tiepido sono tutti impalati sulla spiaggia, come il pesce a seccare, per potere vantare a colleghi, parenti e amici cosiddetti “sfigati” l’abbronzatura precoce.
Questo rito si protrae per mesi. In spiaggia vedi migliaia di corpi tra il sudato e l’unto, tra la panatura di sabbia e il pareo incollato, pur di “prendere colore”. Un’ossessione!
E dire che prima era un segno negativo (le persone che lavoravano all’aperto e quindi le più umili erano abbronzate)… Poi è diventato un segno di salute (vitamina D a profusione)… Oggi è di cattivo auspicio (aumenta la possibilità di sviluppare melanomi). Corsi e ricorsi…
E, va detto, di questa frenesia abbronzativa sono vittime più le femmine che i maschi. Di loro parliamo oggi.



Tu le vedi già a Febbraio, appunto, perfettamente orientate verso la direzione di massimo irraggiamento – dovrebbero usarle per posizionare i pannelli fotovoltaici – dotate di sedici tipi diversi di creme, unguenti, spruzzatori, acque solari. Tutte ovviamente contenenti sostanze potenzialmente molto pericolose, ma pur di fottere l’amica (“amica”!!) nella gradazione di marrone da sfoggiare all’aperitivo serale, si fa di tutto. Lecito e illecito.
E sì, perché visto che sono “amiche” saranno vestite entrambe di bianco (fa risaltare l’abbronzatura), con accessori turchese (con l’abbronzatura stanno bene), pochette e scarpe rigorosamente con zeppa di paglia (alta almeno 12 centimetri per superare il metro e settanta), di quelle che dopo che le hai messe tre volte si inzuppano di sudore e puzzano come una cripta etrusca. Identiche in tutto… Ma, pensano entrambe: “…la devo fottere sull’abbronzatura, minchia se la devo fottere ‘sta…”.



E qui si introduce una importantissima variabile rispetto alle ore di esposizione al sole e cioè la superficie esposta. Ovvero, quella NON esposta.
Il costume è rigorosamente a due pezzi. Non importa se sei obesa di quarto grado. L’abbronzatura è l’abbronzatura! Ma non basta. Alcune volte (de)cade anche il pezzo di sopra, con risultati diciamo discutibili. Offendetevi pure, ma un essere umano di sesso femminile (che non è una donna né una signora ma una femmina, secondo la biologia e la Bibbia) che dispone di tette ombelicali, il topless dovrebbe limitarsi a guardarlo (preferite usare il verbo “contemplare”?) su Belen Rodriguez. Anche perché, peraltro, la parte di pancia coperta dalle zizze cascanti non si abbronza. E quando si muovono, la parte bianchiccia e sudata sotto il seno budinoso le rende ancora più terribili da guardare. Ne sono, ahimè, testimone.



Anche gli esseri umani di sesso maschile (che non sono né uomini né signori ma maschi, secondo la biologia e la Bibbia) dovrebbero badare al loro “top” e una buona parte di loro dovrebbe certamente indossare un reggiseno. Di loro parlerò in seguito ma lì sì che si riderebbe. Spero che qualche stilista mi stia ascoltando.
Torniamo però alle femmine. Più spesso, ho notato quest’anno, la moda di scoprire il sedere fino ai limiti del codice penale. Il dispositivo per fare questo si chiama (mi hanno detto) costume brasiliano. Consiste in una mutanda (questo è) che teoricamente dovrebbe coprire il 40-60% della chiappa e lasciare scoperta la parte soda, tonica e liscia, vedi figura. 



No, perché pare che nelle “istruzioni” per l’uso sia scritto così, e a Copa Cabana lo usano tutte o quasi in questo modo. Il fatto è che nelle nostre spiagge vedi mandrie di ragazzette dai tredici anni in su, che indossano questo brandellino di lycra che però copre a malapena il 20% del sedere, lasciando a vista qualcosa che non è né sodo, né tonico, né liscio. Ad ogni passo, un’onda lipidica parte dalla caviglia per raggiungere il collo soffermandosi a lungo sul sedere. Anzi, siamo più diretti e meno politically correct: quelli sono proprio culi. Culacci, anzi.

Direte: saranno anche loro libere di mettersi quello che vogliono!

Rispondo: sarò anche io libero di osservarle disgustato!



Poi capisci il perché di tutto questo: nel gruppo di sei femmine in cerca di maschi ne vedi una, la capostipite, la meno lontana da Belen, l’unica che potrebbe permettersi di indossarlo, quel costume. Magari doveva prenderlo una misura più grande (facciamo due), perché non è proprio una 40, ma almeno il resto lo salviamo. E la verità affiora quindi da sola: lei, Primo Motore Immobile, e le altre cinque ingombranti e flaccidi pianeti che ne imitano movenze e vestiario, unica speranza per cuccare. E mentre passano le senti:
- Con questo costume quest’anno mi sto prendendo un’abbronzatuuuura…
Sì, mia cara, ma solo quella però. Perché un maschio non credo lo ‘acchiapperai’ mai. E scusate il gioco di parole…

PS
Per le femministe irriducibili: scriverò un post anche sui maschi, non è necessario preparare una manifestazione davanti al mio cancello. Meglio prevenire che curare.

Per tutti, tornerò ovviamente sull’argomento mare. Molte molte volte…

domenica 6 settembre 2015

Servito. E riverito? Parte 3

Riassunto delle puntate precedenti. Pizzeria senza prenotazione, tanta fame, gestori e personale poco disponibili. Finalmente si mangia ed è ora di pagare e fuggire da questo posto.
Mentre i piatti semivuoti e cumuli di fazzoletti di carta coprono le trentadue tovaglie (fanno finezza) che a loro volta coprono il tavolo, alzo la mano. Questo gesto attira subito l’attenzione tipo coyote che vede una preda: vogliono ancora spendere soldi, pensa il cameriere-soldato. Mi assicuro l’agganciamento visivo e poi faccio il gesto della penna (con la mano sinistra): chiedo il conto. 



Un sorriso deluso gli si dipinge sul volto che però non si perde d’animo. Si avvicina, secondo quanto previsto durante il briefing pomeridiano con il maître, e pronuncia un’altra frase standard (e odiosa):

- limoncello, dessert, limoncello, caffè, limoncello, grappa, frutta limoncello…

Ok. Dagli anni ’80 in poi è diventato di moda questo limoncello. Descriviamolo. Quello originale nasce sulla costiera amalfitana ed è un prodotto tipico di quella regione. Poi purtroppo la gente sbagliata viaggia nei posti giusti e importa ricette errate che copia malamente per poi rivendersele. Come la roba dei cinesi, praticamente. E così nasce la “tradizione” siciliana del limoncello a fine pasto. Limoncello che si manifesta come un liquido viscoso, appiccicoso, così zuccherato (lo zucchero costa poco) che è necessario portare la temperatura a -20 °C per poterlo bere senza sputarlo.



 La quantità di alcol presente è trascurabile (costa caro) e, inoltre, a quella temperatura l’aroma della buccia del limone, ovvero il miscuglio di oli essenziali lì presenti, è così flebile che praticamente ti sembra di inghiottire agrumi tenuti all’obitorio.
Ovviamente si tratta della ricetta segretissima della moglie del proprietario del locale. Gliel’ha data una sua amica che ha una parente che è sposata con uno che è nipote di una signora la cui nonna viveva a Sorrento (bellissima, nella foto). Quindi ha automaticamente la certificazione di autenticità. Ma fa schifo ugualmente…



E però il cameriere pervicace te lo propone. E ripropone. E ripropone.

- Un caffè – dice uno di noi

E certo. Perché non potevamo andare in un bar, 90 centesimi, 90 secondi e poi passeggiata. No. Meglio un euro e cinquanta e quindici minuti. Ma va beh...

- Ok. Allora un caffè e il conto – Aggiungo io

Parte (si scriverebbe nella sceneggiatura delle commedie ottocentesche).
Parte e non torna. I quindici minuti passano davvero. Ormai siamo quasi a chiusura, tra poco mettono le sedie sui tavoli per passare lo straccio. Le undici sono passate da un pezzo. Finché eccolo che arriva.

- Scusate per l’attesa

Cazzo, un caffè devi fare! E il locale è vuoto! E il conto…? Non c’è.
Il trucco della mano alzata non funziona più. Ci vogliono le armi pesanti. Mi alzo in piedi. No, non si sentono minacciati fisicamente da me, ma secondo il manuale temono istintivamente che voglia andare via senza pagare. Riottengo immediatamente l’attenzione.

- Prego – dice affettato
- Si è dimenticato il conto – dico piccato
- Arriva subito – replica secco

Un piacere di dialogo.
Dopo un paio di minuti arriva uno scrigno di legno. Chiuso. Pesantissimo. Sembra uno di quei contenitori per serpenti che si vedono a Marrakech, a Jemaâ El Fna. Solite battute scontatissime, previsioni (ma anche se indovini…?) e alla fine delusione: appare una specie di pezzetto di carta, ben scritto, ben stampato. Pre-conto. Pre… che? Dopo avere subito per anni sindromi pre-mestruali e avere da poco scoperto che esiste il pre-compleanno (sarebbe il giorno prima del compleanno e i tasci lo festeggiano pure insieme al post-compleanno, così da formare una specie di Triduo), ora bisogna fronteggiare anche i pre-conti. 



Rappresenta la comanda (quella sbagliata, ovviamente) così come proveniente dal famoso mini tablet. Solo che ora ci sono anche i prezzi. Ne discuto un po’ coi miei commensali. Si fanno i calcoli. Lasciamo la mancia anche se ci sono due euro di coperto: ma sì... Però io non sono tranquillo e se ne accorgono tutti. Glielo devo chiedere… Ci devo andare
Mi dirigo alla cassa col pezzettino di carta. Non trovo nessuno.

Prego – mi dice infastidito sempre lo stesso cameriere, ormai abbiamo pagato, siamo al pari dei sacchi di rifiuti che stanno portando fuori
- La ricevuta – rispondo duro

Volta lo sguardo per lo sdegno e si allontana. Sento che in dialetto chiama un tale Peppe (c’è sempre un Peppe nelle pizzerie) perché vada alla cassa: “viri chi bbuoli chiddu”. “Chiddu” sarei io. Decido che non potevo sentire perché ero troppo lontano. Se avessi deciso di sentire avrei dovuto ingaggiare un duello.
Arriva infine “Peppe”. Non saluta. Gli porgo il fogliettino. Lo traduce in ricevuta. A mano.  Fa per alzarsi senza salutare ma io con la mia voce tenorile intono:
- Grazie, una buona serata

Rispondono tutti. E mi memorizzano. La prossima volta è sputo nella pizza assicurato. Ma col piffero che ci ritorno, una prossima volta!

giovedì 3 settembre 2015

Servito. E riverito? Parte 2

Breve riassunto (o leggete poco sotto la prima parte). Roberto & C. decidono di avventurarsi in una media pizzeria senza aver prenotato prima. Incontrano un maître molto sotto la media che cerca di mandarli via. Ma alla fine, chi la dura la vince, si siedono.

A questo punto, i camerieri che prima latravano “permessooo!” dove a ogni “o” in più corrispondevano 3 o 4 mmHg in più di pressione arteriosa sistolica per me, ci guardano un po’ sorpresi (ce l’hanno fatta?), un po’ disturbati (se tutti arrivano e si siedono quando vogliono…), un po’ imbarazzati (prima erano in mezzo ai piedi ora dobbiamo servirli?).



È però loro il compito di portare il menu (il maître non può mica fare questo lavoro da schiavi!). Ne vediamo una pila sullo sparecchiatavola a fianco a noi… 21.35, 21.40. Mi alzo e me lo prendo da solo. Il locale sempre vuoto, ovviamente. Sull’appiccicosità del menu e il livello di igiene dei nostri locali pubblici parlerò in altro momento, per ora mi focalizzo sul maître che si materializza dieci secondi dopo il tentativo (riuscito) di autogestione del tavolo.

Parte la frase standard…

- Pronti?

…e la risposta standard

- Ancora qualche istante

Decidiamo. Dovremmo ordinare. Vorremmo ordinare. Sono quasi le dieci ormai. Non avevamo deciso cosa fare, ma di certo niente cinema poi. Primo cenno, lui (che non sta facendo nulla) fa segno che sta per arrivare. Secondo cenno, lui sorride, fingendosi impegnato a portare un conto. Ok, me la devi fare pagare che ti ho mandato via la prima volta? Chiamo un cameriere:



- Possiamo ordinare?
- eh… sì, un attimo che vi mando il maître

Aridaje con ‘sto maître. Mi ero dimenticato dei gradi e che il tablet del potere lo detiene solo uno.
Finalmente arriva. Ordiniamo. Ovviamente dobbiamo ripetere tre volte che gli antipasti sono solo due, le coche tre di cui una zero (la mia), un’acqua grande frizzante. Arriva un solo antipasto, tre coche classiche, l’acqua è naturale, ma me ne accorgo quando è troppo tardi e cioè dopo averla bevuta. Pazienza. Ogni acqua leva sete, dice un proverbio siciliano, e anche soldi dalle tasche se comprata in un ristorante, aggiungo io.



Vorrei una pizza capricciosa, ma prevede l’uovo sodo. Non ho nulla contro le uova. E nemmeno contro le uova sode. Ma nella pizza che c’entrano? Come pure: che c’entrano le patatine sopra la pizza, magari pure con la ketchup? Orrore. Mi direte: ognuno mangia come vuole. Vero. Ma aspettatevi tanti post feroci su questo tema. Rideremo. Io di certo.

Guardo questo capitano (ma forse meno che caporale) dei camerieri che nel frattempo aveva perso un bottone della camicia, subito sopra la cinta, e gli dico:

- Potrei avere una capricciosa senza uova?

Timido, uso il condizionale, voce bassa, sorriso propiziatorio… Risposta:

- Eh… quando non lo mettevamo ce lo chiedevano, ora che ce lo mettiamo ci dicono di toglierlo… Aspetti… vediamo se riesco a toglierlo da qui… - dice armeggiando con il tablet che per lui probabilmente è solo “un coso” – “casomai” lo dico a voce al pizzaiolo

Casomai!? Casomai!? Ma casomai non ti pagassi il conto? Ma scommettiamo che mi stai facendo il cazziatone perché non sai armeggiare con la “smart pen” sul tuo “touch screen” perché la “app” è stata impostata male? Scelgo la via morbida:

- No… è perché proprio l’uovo non mi piace sulla pizza
- Fatto, fatto… - dice molto convinto lui. Meno io che lui abbia avuto successo. Se ne va.

Arrivano finalmente le pizze, sono più le undici che le dieci, che nemmeno il pranzo di cresima di mio cugino è durato così tanto. La mia ovviamente è con l’uovo sodo: ma avevo dubbi? 



Guardo il cameriere con pietà, il maître si avvicina capendo che qualcosa non va:

Frase standard.

- Tutto a posto?

Sì, siamo solo qui che volevamo chiacchierare un po’ col cameriere mentre ha i piatti in mano e rischia l’ustione…

- La mia pizza… l’uovo…
- La sua era senza uovo?

Ma come!? Hai sferragliato col tablet, hai detto che avresti anche parlato col pizzaiolo, il locale (tiè) è rimasto vuoto e siamo solo due o tre che stiamo mangiando… cos’è: demenza precoce o fai il paraculo?

- Gliela faccio rifare – dice ipocrita e falso
- No, no, va bene, il cibo non si butta, c’è chi non ne ha

[DA RICORDARE SEMPRE]

Apro le posate e invito il cameriere a poggiare il piatto. Una zaffata di uovo sodo, stracotto e forse anche un po’ vecchio mi riempie il naso. Lo scosto con la forchetta.

Cerco qualcuno dei miei con cui incazzarmi per la scelta del locale. Poi mi blocco: l’ho scelto io.

<segue conclusione>